Prosa
SCACCO MATTO

La tosse da' scacco matto

La tosse da' scacco matto

Quanti passi abbiamo fatto per strade, parchi,  giardini, quinte, moli, castelli, fortezze? Stiamo camminando da 1987 anno in cui Tonino Conte mette in scena il primo spettacolo itinerante. Da allora i luoghi scelti dalla Tosse diventano segni scenografici e punti fermi di epifanie. Il pubblico cammina alla ricerca di storie, sogni, rivelazioni. Il Teatro della Tosse è magico e la gente vuole che qualcuno glielo prepari questo stupore, ma desidera anche trovarlo, scoprirlo, come il bambino cerca chi scompare e attende riappaia. La bellezza di Tonino-Lele è stata in tutte le stagioni il non perdere mai la profondità del gioco già tragico fatto di presenza assenza che c’è nei bambini. Sono diventati grandi senza smarrire la radice dell’esistenza, il nocciolo del sapere oltre il conosciuto che sta al centro del cuore di ogni fanciullo.

La Tosse è di per sé un disegno che si snoda nello spazio e nel tempo senza  perdere lo stile.E’ raro che un figlio capisca e senta così bene il discorso del padre. Di solito un figlio è contro. Sempre. Diciamo per crescita. Ma può il figlio di chi non ha perso il nocciolo della fanciullezza uscire dal gioco? Continua il gioco perché non imita il padre, non è un fare ereditario, nulla di così banale. Semmai consequenziale: ne capisce il senso e prosegue il gioco. Il segreto sta nella purezza di un fare segreto come i riti, come è il Teatro.

In questo Scacco Matto, debutto estivo, oltre al percorso che porta a rivelazioni è presente un elemento fortissimo: l’unicità di una scrittura teatrale in costruzione di autentica tragedia. I personaggi sono precisi, ben disegnati. C’è attesa per un finale  che possa ribaltare la sorte. Così un autore sfida la Morte in una partita a scacchi. Se vincerà potrà rinviare il tempo del suo destino. Arrivano gli scacchi e che la partita cominci! Ognuno ha una forte identità da esprimere e raccontare. Rimandi storici, dubbi esistenziali. Una stupenda antica Torre di Babele (Federico Sirianni) canta tra cielo e terra in più lingue amore e speranza, e una Torre di Pisa (Lisa Galantini) che non è più monumento ma segno di instabilità e capovolgimento sino a credere, in una perenne crisi di nervi, che sia il mondo ad essere storto, squilibrato.

Escono gli Alfieri dalla storia (Enrico Campanati, Sara Cianfriglia), sono inquieti o ballerini i cavalli (Pietro Fabbri, Susanna Gozzetti).  Spunta il mondo di Alice nella piccola vita del pedone (Rita Falcone) sino allo svelarsi di una regina travestita (Nicholas Brandon) e un Re senza potere che attende la sorte (Aldo Ottobrino). Tra loro, sotto l’apparente costume di pezzo della scacchiera, si nasconde la Morte (Alessandro Bergallo), parla di se, della scienza, di come potrebbe esistere forse una via d’uscita, ma ancora non si può. Si giustifica persino facendo capire che non sa dove conduca la gente.

Non è in lei quindi il mistero, lei stessa non ha forza di rivelazione, ma semmai di battaglia. E gioca sulla scacchiera, limite prestabilito, simbolo di confini inviolabili, di generi, di ruoli,  forma un esercito coinvolgendo il pubblico presente. Però la morte in fondo non resta che una traghettatrice. Nulla più. Tutto si svolge in un uso magistrale dello spazio dove si collocano le scene di Luigi Ferrando. In una geometria registica che ha in sé la serietà della matematica e la gioia del gioco. I costumi di Bruno Cereseto sono apparizioni oniriche, vere e proprie invenzioni scultoree, disegni in movimento e nel contempo rigorosi segni nello spazio.

La linea è unica, la storia, il percorso drammaturgico e quello visivo racchiusi in un tempo teatrale coinvolgente, piacevole, ironico e tragico sino a una sorta di rarefazione ipnotica. Non si sa dentro a cosa si entri e dove ci stia portando. Si spera coralmente vinca l’autore e perda la Morte. Ma la speranza è vana come nella vita, come nelle grandi tragedie che altro non fanno se non coinvolgerci in un percorso rimosso ma inequivocabile in cui solo la fantasia è evasione da confini segnati. Noi spettatori viviamo insieme alla Tosse il percorso del tempo e la consapevolezza del limite. Il desiderio del rimando; l’illusione di uscire dal destino e superare la scacchiera. Ognuno è pezzo da battaglia. Ma allo Scacco Matto non si sfugge e non è poi così importante essere Re se non per vedersi comunque serrato in un angolo senza vie d’uscita.

Scritto da Emanuele Conte e Amedeo Romeo ( anche nella parte dell’Autore in scena ) è un testo che entra nel tema della letteratura mondiale: sconfiggere la morte o allontanarne il momento. L’appuntamento iniziale è stato ai Giardini Luzzati, molti gli appuntamenti in cartellone tra cui Apricale dove la Tosse è ogni anno attesa come una vera grande festa e sicuramente ovunque un grande successo reso tale dalla bravura degli attori, la forza drammaturgica e l’espressività registica. La crisi c’è, ma alla Tosse la gente va ( senza spinte, sconti, pretese, sponsor, pubblicità ) ci va anche a piedi e muove i suoi passi perché si sente rappresentata nel profondo, nell’intimo, ha bisogno di fantasia e sogno e mito e che qualcuno gliela racconti la morte e la vita con il respiro della dedizione alla vita però e la giusta paura di ciò che forse un passo dopo l’altro un giorno disveli anche la fine come un gioco.

Visto il 04-08-2014
al Borgo di Apricale di Apricale (IM)