Michele La Ginestra propone al teatro della Cometa un nuovo capitolo del suo teatro, la sua peculiare visione del mestiere dell’attore che si fonde con quello dell’autore e del narrastorie.
L’attore dà corpo a un altro ritratto della sua galleria di personaggi semplici ma profondi: Sergio, il ragazzo capitato per caso nella bottega del falegname Giuseppe, amante dei buoni odori del legno e del pane, e naturalmente innamorato della figlia del falegname, Cristina, che studia danza. Quella bottega diventerà la sua casa, la sua vita con Cristina, il nido per il loro figlio Giuseppe, uno spazio chiuso, protetto, rifugio dalle illusioni e disillusioni della vita, delle certezze così faticose da trovare, e di quelle risposte ultime da trovare, che chiedono un prezzo doloroso da pagare.
Prova d’attore dunque ma prova anche dell’autore, che rilascia al suo pubblico una storia bella e accorata, nella migliore tradizione del teatro romano, dove le botteghe non sono ancora scomparse in mano ai centri commerciali, e la famiglia, sia pure bistrattata, trascurata e non sempre compresa, resta al centro dell’universo personale e sociale.
Interpretare una storia, la sua storia, per La Ginestra e il suo manipolo di motivati ed efficaci interpreti, significa soprattutto viverla: è così che l’autore-attore conquista il suo pubblico. Con un’ora e mezza di dialoghi, risate e soprattutto tanta verità e commozione, sempre in prima persona, sempre in gioco.
In questo spaccato personale e umano l’autore orchestra, grazie all’aiuto di una regia puntuale e sensibile, un gioco a quattro con i suoi attori, tra cui giganteggia l’interpretazione quieta e intensa di Sergio Fiorentini, un figlio di Roma d’altri tempi, che si presta con bonarietà al suo ruolo di pater familias in mezzo alla figlia danzatrice – interpretata con efficacia ed eleganza da Corinne Bonuglia – e al nipote – il volenteroso Emanuel Cesario.
Non vi è una particolare morale o un messaggio che si discosti da quanto quotidianamente viene sperimentato da una qualunque famiglia, in questo spettacolo. La sua forza, il suo indiscutibile fascino nasce da quella semplicità di intenzioni con cui l’autore-interprete si pone davanti al suo pubblico: fa sorridere, fa piangere e soprattutto fa riflettere, con levità, tra una risata e un brivido di commozione. Alla fine della storia c’è chi troverà la fede in un semplice saio, e chi si ritroverà a contemplare l’effigie in legno (di pesco) di un Salvatore senza più una croce da portare.
Roma, 1 febbraio 2009
Teatro della Cometa
Visto il
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Italia
di Roma
(RM)