Sei personaggi, da qui all’eternità

Sei personaggi, da qui all’eternità

Pietra di prova irrinunciabile nella storia del teatro, la nuova edizione del classico pirandelliano firmata da Michele Placido omaggia la scena etnea, in occasione del sessantennale dalla fondazione del Teatro Stabile di Catania e dei 150 anni dalla nascita dell’Autore.

Quando il lungo buio iniziale immerge la sala, in un irreale silenzio, affiorano appena distinguibili e già sul palco le fioche sagome dei Sei personaggi, qui pensati come ombre persistenti dell’agire scenico, complesse presenze irrisolte e trama concettuale inesplicata alla base di ogni creazione drammaturgica. Il repentino rientro nei ranghi dell’ordinaria vita teatrale mostra al pubblico l'inettitudine di un gruppo eterogeneo di interpreti del tutto inadeguati alla delicatezza dei temi che si accingono a trattare: un’atroce vicenda di femminicidio, il crimine delle morti bianche sul lavoro, pregiudizi che avvelenano la vita di coppia.

La coraggiosa sostituzione dell’originario riferimento intradiegetico al Giuoco delle parti delinea così l’impegnativo indirizzo di regia: individuandone il nuovo orizzonte d’attesa nella possibilità di dar voce credibile, sulla scena, ai traumi dolorosi che affliggono il nostro tempo; e proponendo - attraverso l’ideale rapporto di filiazione con il dramma mai nato- i modelli esemplari e ricorrenti cui attingere.

I Sei personaggi, tra cronaca e «suggestioni soprannaturali»

Il particolare taglio conferito ai Personaggi della commedia da fare, nella prima parte dello spettacolo, inclina ad un’interpretazione quasi sussurrata, “per sottrazione”, tale da evocare la dimensione «soprannaturale» - nelle intenzioni del regista- cui essi pertengono e da realizzarne compiutamente la natura di “assoluti” metateatrali.

L’accorta gestione dei piazzati (luci a cura di Gaetano La Mela), sostiene l’ambientazione onirica attraverso cui tralucono scandalose “passioni”: la calibrata perfidia - ammantata da intenti caritatevoli- del padre, cui Michele Placido conferisce il giusto grado di ambiguità; lo spirito vendicativo ed irriverente coagulato nel riso sardonico della Figliastra, nell’energica prova di Dajana Roncione; lo strazio senza rimedio della Madre, che Guia Jelo compone con i tratti toccanti della Mater Dolorosa dell’iconografia sacra: una teoria di essenze artistiche inespresse - insieme ai due inermi bambini con funzione di capro espiatorio- e pur tuttavia personaggi di «valore universale» nella tragedia della loro impossibile rappresentazione.

Dal non-detto teatrale al mito dell’eterno ritorno

Funzioni e possibilità espressive dei fatti drammaturgici sono l’oggetto del contendere nella sezione conclusiva del lavoro, dove la brusca accelerazione dei ritmi si accompagna al crescere della tensione emotiva.
Il noto conflitto tra i personaggi- inchiodati all’eterno ricorrere dei loro patimenti, come pure forme- e la frivola leggerezza della compagnia di attori, cela, nella presente edizione, un di più, oltre alle tematiche care alla “filosofia” pirandelliana: il difficile tentativo di dare vita ad una nuova arte, «un misto di tragico e di comico, di fantastico e di realistico, in una situazione umoristica affatto nuova e quanto mai complessa» - come preconizzava Pirandello - all’insegna della fusione tra divertissment e impegno critico-sociale.

Dinanzi alle lame di luce della swoboda della scena conclusiva - sottolineata dalla stridula risata della Figliastra- i Sei personaggi si stagliano come enigmatici emblemi del «mistero della creazione artistica», incubi ricorrenti del rimosso nella coscienza della civiltà occidentale.