La commedia The Dresser di Ronald Harwood, Servo di scena nella traduzione italiana, è, nella sua essenza più profonda, oltre che un vero e proprio inno al teatro, un memento di quello che fu l'eroismo dell'Inghilterra negli anni '40 dello scorso secolo: pur devastata dai bombardamenti nazisti, la nazione non volle piegarsi al nemico e, nonostante tutto, seguitò a condurre la propria esistenza, con tutto l'aplomb che da sempre la contraddistingue, fingendo che nulla fosse mutato.
In questo clima generale anche Norman, il servo di scena alias segretario personale del primo attore, non concepisce neppure per un momento che Sir Ronald, cui egli presta tutte le proprie cure, possa, sebbene colpito da un malore, non andare in scena con il suo Re Lear annullando uno spettacolo per il quale gli spettatori hanno già pagato il biglietto. La vicenda si fa però complicata in quanto “Sir”, così chiamato pur senza averne il titolo, si mostra confuso e ha dimenticato gran parte delle battute: i contrattempi si moltiplicano, fanno sorridere e mettono in luce i sentimenti dei personaggi oltre a tutte le difficoltà che si trova a vivere una compagnia eroica, ma priva di mezzi, il cui capocomico, un tempo osannato da pubblico e critica, ha fatto di Shakespeare il centro della propria vita e del teatro un usbergo contro la barbarie.
Il clima generale un po' rocambolesco, intriso del tipico umorismo inglese, si fa più tragico nel finale quando le condizioni di “Sir”, al termine della recita, improvvisamente peggiorano ed egli muore col sorriso sulle labbra, dopo aver mostrato a Norman un abbozzo della propria autobiografia nella quale egli è prodigo di ringraziamenti per tutti, scordandosi però anche solo di menzionare il suo dresser. Per Norman la morte di Sir Ronald è devastante, egli si vede tradito dal suo mentore, ma soprattutto si sente perduto perché non riesce a concepire una vita fuori dal teatro, senza il quale, dopo anni di gratuita dedizione, per lui non vi è sopravvivenza.
Bellissima la scena su due piani di Margherita Palli che ha curato anche i costumi: al piano superiore si trova il teatro col suo palcoscenico e un sipario malridotto, in quello sottostante i camerini, affollati di oggetti e in male arnese a causa dei bombardamenti che hanno sbrecciato muri e porte.
La parte di Sir Ronald è concepita per un grande attore e Franco Branciaroli lo è a tutto tondo. Splendido il tono lievemente magniloquente e pomposo che egli conferisce al suo personaggio del quale sottolinea senza forzature l'egocentrismo, ma anche la stanchezza tipica di un uomo in declino. Tra le pieghe del torpore che talvolta pervade il capocomico si intravede tutta la ricchezza di una vita trascorsa fra i successi, anche se ormai piombata nella tristezza di uno squallore che egli non pare percepire appieno.
Straordinaria l'interpretazione di Tommaso Cardarelli che ci presenta un Norman sensibile, alcolista e in preda alle proprie nevrosi, che concepisce il suo compito di assistere “Sir” quasi come una missione degna di una vestale. Cardarelli è bravissimo nel curare nei minimi particolari ogni movimento, atteggiamento, tono di voce del suo personaggio, fornendo col suo talento un valore aggiunto alla meticolosa regia dello stesso Branciaroli.
Brava anche Melania Giglio nel delineare la sua Madge, una donna indurita dalla vita e da sempre innamorata di “Sir”, integerrima assistente di scena che vuole sempre tenere tutto sotto controllo. Lisa Galanti è una Milady sostanzialmente insoddisfatta, stanca di essere un'attrice senza soldi, moglie di un mostro sacro del teatro che non vuole rassegnarsi a lasciare il palcoscenico per vivere in tranquillità. Con loro Valentina Violo nei panni di Irene, Daniele Griggio in quelli di Geoffrey Thornton, Giorgio Lanza in quelli di Mr. Oxemby.
Ad assistere ad un vero capolavoro che ha come tema fondante l'insostituibilità del teatro, ironia della sorte, un pubblico inspiegabilmente scarso che ha però mostrato di apprezzare lo spettacolo; molti gli applausi finali.