Se Discorso giallo dei Fanny e Alexander avesse la chiarezza programmatica del corposo materiale distribuito alla stampa, una lunga ed esplicativa intervista a Laura Germini interpreteautrice, una dettagliata scaletta che spiega tutti i passaggi e i quadri dello spettacolo, più altri materiali esplicativi sugli altri spettacoli di cui Discorso Giallo è solo il tassello di un progetto di ampio respiro, lo spettacolo si imporrebbe per la ricerca e per la soluzione drammaturgica in cui questa ricerca viene restituita sul palco.
Purtroppo in scena non c'è traccia di quanto annunciato sulla carta, sui programmi, sull'intervista.
L'idea di indagare sulla forma discorso, così come si esplica in tv misurandone gli effetti pedagogici si incaglia subito nel narcisismo di una messinscena esclusivamente incentrata nella performance attoriale di Germini che non sopravvive alla sua stessa bravura.
Il testo individua alcuni punti forti nella storia televisiva italiana in alcuni programmi culto: da Non è mai troppo tardi con il maestro Manzi a Piccoli Fans con Sandra Milo fino ad Amici di Maria De Filippi.
La strada scelta per indagare le pratiche discorsive di questi tre programmi diversissimi per caratura e anche per il posto che occupano nella storia televisiva italiana è quello della performance imitativa.
Da sola in scena, vestita con un grembiule nero da scolara del ventennio o dell'Italia monarchica, Germini indossa dei baffi posticci e fa la voce grave quando appronta il discorso di Manzi, fa la voce affettata e da bambina di Sandra Milo quando appronta il discorso della conduttrice di Piccoli Fans e fa il verso con tanto di rotacismo ai discorsi di De Filippi come fosse una imitatrice televisiva.
Queste tre componenti alle quali si aggiungono dei bambini e delle bambine restituiti in un loro parlare finto e affettatissimo come quello odioso degli adulti che doppiano i bambini nei film, prendono vita durante tutto lo spettacolo suddiviso in quadri, in un continuo divenire fluido senza soluzione di continuità dove emerge ora una voce ora l'altra, in un susseguirsi composito e complesso che richiede un impegno enorme nel quale Germini sa districarsi con notevole perizia.
Ma questa performatività azzera qualunque discorso critico perchè non sa allontanarsi e affrancarsi dall'effetto di omaggio emulazione che si innesta ogni volta che si riproduce l'esteriorità di un discorso e non si sottoliena il suo contentuo, il suo progetto pedagogico, il sottotesto implicito che ci agisce e agisce sul pubblico dandolo quasi per scontato.
Questa riproposizione senza alcuna prospettiva storica che appiattisce programmi diversissimi banalizzati (perchè messi sullo stesso piano) da una performance imitativo-riproduttiva e non critico-analitica è paradossalmente il risultato di 20 anni di televisione pidduista che spettacolarizza tutto proprio come fa Germini che rimane imprigionata in un discorso performativo dal quale non emerge minimamente discorso critico.
E il finale con i riferimenti a Montessori, imperosnata in scena con una enorme testa in lattice che riproduce l'immagine che si trova sulle ultime millerire prima dell'avvento dell'euro aumenta il sneso di vertigine di una drammaturgia che, senza rendersene conto, fallisce ogni tentativo critico sulla discorsività televisiva essendo del tutto incapace di approntare un discorso sia drammaturgico che di messinscena che non sia quello emulativo.
Così che la gente ride quando riconosce la r moscia di De Filipi e non inorridisce per la corruzione del progetto pedagocico avvenuta nell'arco di 50 anni da una tv che era vicaria della scuola e che adesso si è sostituita ad ogni altra froma di istruzione con una spettacolirizazione che a vedere Discorso giallo ha ormai colonizzato anche il teatro.
Fanny & Alexander
Discorso giallo
produzione E / Fanny & Alexander
in collaborazione con Solares delle Arti – Teatro delle Briciole
ideazione Luigi De Angelis e Chiara Lagani
drammaturgia Chiara Lagani
progetto sonoro The Mad Stork
regia Luigi De Angelis
con Chiara Lagani
sound editing Sergio Policicchio
costumi Chiara Lagani e Simonetta Venturini
maschere Nicola Fagnani
promozione Paola Granato e Marco Molduzzi
organizzazione Serena Terranova
logistica Fabio Sbaraglia
amministrazione Marco Cavalcoli e Debora Pazienza
www.fannyalexander.org
www.e-production.org
Stefano Cipiciani nasce dall'incontro tra il coreografo Simone Sandrone e l'attore Stefano Cipiciani, un confronto con una persona al di fuori del mondo della danza, ma profondamente inserito in quello del
teatro, soprattutto in quello invisibile ma fondamentale del “dietro le quinte” come si legge nel programma di sala.
Partendo dal potere mitopoietico del palcoscenico lo spettacolo è una rivisitazione della biografica professionale di Cipiciani che alterna competenze sulla scena a quelle dietro la scena, affermando la propria volontà di (auto)rappresentazione cimentandosi con la danza, lui che danzatore non è. Delicato e sottile in alcuni momenti (soprattutto quelli in cui più che cimentarsi nella danza incontrando un inevitabile scarto per la mancanza di esercizio del suo fisico, Cipiciani dimostra di poter danzare rifacendo il verso a certi stilemi coreografici da quelli lontani di Isadora Duncan) elegiaco quando ripercorre i momenti diversi del proprio passato artistico e lavorativo lo spettacolo manca di una ragione in più per andare in scena che non sia il racconto di una esistenza, che non sia quei quindici minuti di fama di cui Warhol andava parlando nel 68.
Ci sarebbe piaciuto vedere accanto alla memoria personale di Cipiciani anche qualche riflessione storicamente più vicina ai nostri giorni, a dei tempi bui e rarefatti dove anche lo spettacolo, spaventato da tanta mancanza di solidarietà, sembra nascondersi nei meandri protetti di un intrattenimento tutto sommato facile e fine a se stesso.
DÉJÀ DONNÉ
P.S. Stefano Cipiciani
regia e coreografia Simone Sandroni
creazione ed interpretazione Stefano Cipiciani
scenografia e costumi Lenka Flory
tecnica e luci Cesare Lavezzoli
produzione Déjà Donné/Fontemaggiore
con il sostegno di MIBAC e Regione Umbria
www.dejadonne.com
Un paesaggio emotivo nel quale si entra e si è liberi di interagire quello predisposto dal gruppo di ricerca artistica Opera per Short Theatre.
In una stanza buia, in uno specchio d'acqua di forma circolare perturbato da un gocciolio che ne increspa la superficie, effetto visivo amplificato da una partitura sonora che fa del riverbero la sua struttura portante, si affacciano dei volti umani maschili e femminili videoproiettati, che invitano a essere guardati, spiati, visti.
Dei volti che non sembrano accorgersi della presenza del pubblico voluto da Opera in un numero non superiore a 30.
Gli astanti sbirciano, guardano, osservano le facce che così come emergono dai bordi dello specchio d'acqua ne scompaiono sottraendosi alla vista.
Man mano che ci si abitua al buio ci si inizia a muovere con sempre maggiore disinvoltura nello spazi allestito quando si capisce che l'istallazione non è pensata per il classico pubblico passivo di platea del teatro borghese ma per degli uomini e delle donne che la curiosità rende intraprendenti.
Così quando le luci illuminano un pupazzo fatto di fil di ferro che riproducono stilizzato uno scheletro umano, mosso da tanti fili visibili che partono da una struttura poligonale costituita da tante porte diverse sopra la quale lo scheletro è sospeso, ci si avvicina a questa seconda struttura senza abbandonare del tutto con lo sguardo lo specchio d'acqua dove le figure continuano a emergere e scomparire.
La luce che illumina lo scheletro di fil di ferro si fa più intensa mentre la partitura sonora ne sottolinea i movimenti che sorprendono per la loro somiglianza con quelli umani e ognuno e ognuna guarda in alto sulla sommità della struttura poligonale da dove lo scheletro sospeso cade e si innalza ancora, galleggiando.
Poi dentro la struttura di porte si accende una luce e qualche spettatore e spettatrice prima timidamente poi seguiti da sempre più emuli ne sbirciano l'interno attraverso i classici spioncini da porta e vedono la performer che, supina, anima manovrando tutti i fili legati al suo copro lo scheletro di fil di ferro i movimenti della quale, così sbirciati, hanno un significato di per sé e non solo come scopo animativo.
Poi la porta da cui si è fatto entrate il pubblico viene aperta e chiunque può decidere di rimanere o di andarsene restando ancora un poco a guardare la performer o lo scheletro che non smette mai di muoversi o tornando guardare le facce che riemergono nel bacino d'acqua.
Istallazione elegante e suggestiva Eco riscrive la funzione dello spettatore lasciato libero di muoversi a esplorare lo spazio performativo, unica presenza umana in carne ed ossa visibile, la cui vocazione voyeuristica viene mostrata e messa in scena, mentre il corpo dell'attore, dell'attrice, viene sostituito da un superorganico meccanico (e non elettronico) in un doppio svelamento quello dell'essere umano dietro la performance e quello dell'essere umano dietro la funzione scopica del pubblico.
Se non c'è spettacolo senza pubblico non c'è spetacolo senza persone che lo allestiscono e lo mettono in scena. Spesso ci dimentichiamo chi sono i veri mittenti e i veri destinatari della comunicazione spettacolare-teatrale persone in carne ed ossa e non funzioni scopiche o performative.
Anche se il teatro nasce ed esiste proprio nell'interstizio di questo scarto essenziale.
Eco ne è una dimostrazione e una esemplificazione icastica e immediata che seduce e convince lasciando al pubblico, una volta uscito dalla sala, un grumo di sensazioni da vivere nel loro riverbero emotivo.
Opera
Eco
cura della visione e regia Vincenzo Schino
performer Marta Bichisao
video Gaetano Liberti
scenotecnica Emiliano Austeri
suono Federico Ortica
realizzazione marionetta Gigi Ottolino
cura del progetto Marco Betti
produzione Opera e Teatro di Roma
www.operaweb.net