Extra
SHORT THEATRE 8 SETTIMA SERATA

Una ricchissima serata

Una ricchissima serata

Trenofermo a-Katzelmacher si ispira al testo teatrale di Fassbinder del 1968 Katzelmacher  (un termine razzista che possiamo rendere in italiano, semplificandone il portato lessicale originale con terrone) dal quale si discosta subito seguendo una propria autonomia drammaturgica.

La situazione originale che vede interagire un gruppo di giovani amici di entrambi i sessi all'arrivo di un migrante greco, concupito dalle donne e osteggiato sino all'aggressione fisica dagli uomini,  viene sviluppata da Daniele Aita, in questo studio che ha ricevuto una segnalazione speciale al Premio Scenario 2013, con un lieto fine dove il migrante, qui un marocchino, viene avvicinato e preso in considerazione come persona da Bamby, il ragazzo gay del gruppo, che lo invita a un giro in motorino (da fermi) che si trasforma in un gesto di affetto, di solidarietà e, forse, di amore, lasciando letteralmente a bocca aperta il gruppo degli amici e amiche.

Se questo finale funziona e commuove, così come ci si innamora subito di Bamby, grazie alla interpretazione che ne dà Aita  (che firma regia e testo) che, nonostante l'abbigliamento stereotipato (vertiginosi shorts e maglietta corta che lascia intravvedere l'ombelico, mentre l'elastico delle mutande esce birichino e sexy da sotto i pantaloni) è una persona e non una macchietta - la drammaturgia si basa sui noti cliché sui ragazzi  e sulle ragazze meridionali  presentati al pubblico da delle fotografie videoproiettate con i loro nomi  (stereotipati) e qualche dettaglio d'arredo mentre attori e attrici sulla scena sfilano l'uno dietro l'altra, a lato, di proscenio, mettendosi in posa, diventando i testimonial di loro stessi

Da Pasqualone Vitasnella Rossella Abbrescia passando per Bamby (con tanto di orsacchiotti di peluche) i nomi dei personaggi rappresentano per Aita l'omen predestinato di un orizzonte angusto come quello del sud.

La messinscena è caratterizzata da una energia performativa che si esplica in una serie di coreografie che costituiscono degli a parte astratti interessanti che però non trovano un giusto equilibrio con le situazioni narrative della drammaturgia caratterizzate da un iperrealismo pop.

Descritti nel loro tempo libero trascorso giocando a biliardino, senza pallina, in un luogo concreto, gli elementi scenici rimandano a una ambientazione balneare, e al contempo astratto, il luogo è anche quello dell'attesa di un treno che non arriva mai,

i nove personaggi parlano una lingua ibrida, risultato della contaminazione di diversi dialetti del sud (dove oltre al napoletano ci è sembrato di riconoscere il dialetto calabro eo quello siciliano). Tutti cantano delle canzoni neomelodiche napulitane prima per se stessi, poi per il pubblico, dove ogni performance è un ibrido tra il karaoke e la presentazione di sé agli altri e al pubblico,  suscitando la risata facile nel pubblico che irride dello scarto tra i testi romantici delle canzoni neomelodiche e il comportamento rude dei ragazzi che diventano aggressivi fino alla violenza fisica all'arrivo del giovane marocchino.

Ogni personaggio si comporta al di fuori di ogni contesto sociale, economico e politico - a differenza di Fassbinder dove ogni gesto e ragionamento dei personaggi ha una chiara matrice ideologica e politica - in una idealità astorico e assoluta che si sgancia dalla contemporaneità della contingenza sociale attingendo direttamente al loro essere terroni una condizione astratta amplificata dal dialetto ibrido la cui non immediata comprensione attesta la caratteristica sub-culturale di un gruppo di meridionali.

Le note di regia che accompagnano il testo sembrano corroborare questa lettura:

nel rondò di sfottimenti, violenza, e tradimenti, si muovono questi avanzi di città, partoriti a muscoli, calcio, karaoke, sangue, e katzelmacher. (...) Storia di motorini, amori, ragazze madri, legnate, bastunate, sogni. Sogni facili.  Nelle camerette con poster di neomelodici. Il sud. Il sud che è niente. Che siamo noi.

Una descrizione ingenerosa e giudicante che non cerca alcun riscontro nella realtà sociale e che non ha nemmeno lo scopo di denunciare dinamiche di violenza e discriminazione quanto di descrivere con un certo gusto classista il destino verghianamente dei personaggi.

La presenza di Bamby nel gruppo non trova alcun riscontro narrativo nella drammaturgia che non si preoccupa minimamente di problematizzare i suoi rapporti con il resto delle gruppo, maschilista e xenofobo e dunque verosimilmente omofobo, dando per scontata la sua accettazione da parte del gruppo senza mostracene le dinamiche come se l'unica forma di discriminazione dei terroni sia quella razzista e non anche quella omofobica, tanto da indurre a pensare, a voler essere maliziosi, che la condizione omosessuale di Bamby sia vista come uno dei tanti aspetti negativi in una compagine di devianza il cui degrado sociale sembra essere scritto direttamente nei geni di una meridionalità innata.

Anche il marocchino non ci viene presentato nella sua concreta realtà di migrante in cerca di lavoro (come in Fassbinder che nel testo sottolinea anche il razzismo del greco che non vuole lavorare con un Turco che definisce niente buono) ma come alterità astratta che si presenta in scena con una mini fisarmonica in mano in una comune vocazione musicale meridionale.

Infine il gesto di affetto tra uomini di Bamby e del ragazzo migrante che desta stupore e odio nel gruppo, presentato nel programma di sala come un amuri diverso (...) che ci rende uguali non va necessariamente letto in chiave omoaffettiva ma può essere anche più semplicemente il segno di una altrettanto possibile e legittima affettività amicale eo di solidarietà interclassista che accomuna due differenze come quella etnica e quella d'orientamento sessuale.

Per cui anche il finale sembra più funzionale al colpo di scena che a inneggiare davvero a un cambiamento di paradigma che riconosca finalmente pari dignità agli orientamenti sessuali non etero.

Differenze e non diversità com'è scritto nelle note di regia perché siamo tutti e tutte differenti ma non necessariamente diversi data l'accezione negativa con cui il termine è definito nei dizionari della lingua italiana.

Non basta parlare di migranti e omosessuali, non importa in quali termini e con quali strumenti drammaturgici (oltre che sociali e ideologici), purché se ne parli, per fare di uno spettacolo un testo degno di nota.

Per cui anche la segnalazione speciale insignita allo studio dal premio Scenario indica l'arretratezza culturale di un paese come l'Italia rispetto altre realtà teatrali produttive e creative europee dove sugli stessi temi si dibatte esi opera sul territorio con testi e apparati (strutture, teatri e premi) di ben altro respiro.


nO (Dance first. Think later)

Trenofermo a-Katzelmacher 

Segnalazione speciale Premio Scenario 2013

Studio
ideazione Dario Aita 

coreografie Elena Gigliotti 

interpreti Dario Aita, Emmanuele Aita, Maria Alterno, Lucio De Francesco,Damien Escudier, Flavio Furno, Melania Genna, Elena Gigliotti, Giovanni Serratore

costumi Giovanna Stinga                                                               

consulenza scene Paola Castrignanò 

consulenza tecnica audio/video Ludovico Bessegato 


***



Quando Peter Handke scrisse Selbstbezichtigung (Autodiffamazione) il suo approccio al teatro si caratterizzava epr essere contro ogni dispositivo borghese e narrativo, contro ogni scena, ogni personaggio, ogni separazione tra palco e platea, tra il buio della platea e l'illuminazione della scena.

Un teatro dove la parola è l'unica costruzione della messinscena e dove la parola cerca di decostruire se stessa, o, meglio, tutte quelle pratiche discorsive diffuse e date per acquisite tanto da non mettere più in discussione.

Al pubblico contemporaneo questo aspetto del testo oggi non appare più nella dirompenza polemica e critica di allora e si attesta a torto come testo ostico, ecolalico, narcisista e affabulatorio.

Selbstbezichtigung è al contrario una indagine sull'(auto)rappresentazione del linguaggio tramite il quale l'uomo e la donna collocandosi in una dialettica oppositoria che si fonda sulla logica dualistica aristotelica, indagano l'universalità della condizione umana, quel che ne resta quando ci liberiamo dalle convenzioni linguistiche quelle codificate in una costruzione borghese perfettamente coerente e autosostenentesi, o, il che è la stessa cosa, quella che precede questa costruzione.

Un testo difficile da dire, da restituire e da allestire anche per darne tutti i sottotesti possibili quelli nei confronti dei quali il pubblico si sente chiamato in causa,  portato a immedesimarsi nelle piccole e grandi deroghe da un dover essere sociale che il testo tramite queste due presenze dichiaratorie confessa.

Anche lo smarcarsi rispetto l'avere ottemperato o meno a un obbligo o a una consuetudine ci costringe a un allineamento nostro malgrado come i due interpreti metteur e metteuse en scène spiegano deliziosamente nelle note di regia:
 

W[erner]
Non importa se abbiamo vissuto tutte quelle esperienze, ma la forma, i binari nei quali la vita si muove ci accomuna. Questo fa cadere muri, abolisce la proprietà privata, le differenze di classe: quasi l'utopia comunista realizzata.

L[ea]:

Dire questo testo è guardare in un baule pieno di foto di sconosciuti.

Avrei potuto essere io, avrei potuto farlo, avrei potuto dirlo. Lo sono, l’ho fatto, l’ho detto. Non lo sono, non l’ho fatto, non l’ho detto. Ma avrei potuto, sì, avrei potuto.

Lea Barletti e Werner Waas entrano in scena nudi, Lea con le sole scarpe, Werner con il solo cappello e l'orologio al polso. Rimangono in silenzio per diversi minuti a poche decine di centimetri dalle prime file della platea scrutando un pubblico che prima guarda e poi ascolta il loro doppio monologo nel quale si autoaccusano entrambi di comportamenti assunti e azioni compiute o non compiute nella propria vita, assecondando o infrangendo le regole della società.

Un elenco di infrazioni di diversa natura che sono l'espressione e il tradimento di un io ipertrofico e incontenibile.
 

Sono stato estraneo al mondo. 

Non ho superato me stesso.  

Sono soggiaciuto all’incanto dell’attimo. 

Non ho considerato l’esistenza come un prestito concesso. 

Ho cercato di fermare il tempo.  

Ho cercato di accelerare il tempo. 

Sono stato in contraddizione col tempo.  

Ho cercato di impedire che le cose affluissero verso di me.

Sono stato superfluo.  

Ho fatto come se fossi solo sulla terra. 

Sono stato troppo solo.  
Sono stato troppo poco solo.  
Ho condotto una vita eccessivamente personale.

Ho sempre visto soltanto me stesso. 

Sono stato per me stesso uno e tutto.

Un doppio monologo declinato in due diverse realtà esistenziali dove quella maschile è sempre più propositiva e scaturita dalla condizione di soggetto mentre quella femminile è sempre il risultato non di un riflesso dell'azione compiuta da qualcun altro (il maschio).

Un dualismo asimmetrico originario presente già nel nostro mito fondativo (quello di Adamo ed Eva cui alcuni brani del testo di Handke recitati da Lea ricordano, nel suo nominare oggetti situazioni e sensazioni, certi passaggi del Diario di Eva di Mark Twain dove privata del potere di essere un soggetto la donna ha potuto osservare e decifrare in una triangolazione cognitiva tra l'altro da sè (di nuovo il maschio) e il mondo esterno.

Una sopraffazione maschile che si ripete in scena verso la fine della pièce, quando, abbandonata la declamazione asettica dell'inizio in favore di una recitazione più animosa e accesa la presenza maschile prende il sopravvento cimentandosi in un lunghissimo monologo senza dare più spazio alla controparte femminile permettendole di alternarsi come hanno fatto finora, ma costringendola a una interminabile attesa che la induce a un certo punto a non rimanere più accanto all'uomo aspettando il suo turno ma accomodandosi su di una sedia posta a lato del palco.

Uno dei tanti sottostesti cui Selbstbezichtigung ci è parso ci comunicasse direttamente e schiettamente instaurando un discorso che per ogni spettatore, ogni spettatrice costituisce un rimando all'attualità o alla propria biografia.

Autodiffamazione si è rivelata una delle proposte più interessanti (in prima assoluta) di una edizione di Short Theatre altrimenti sbilanciata verso spettacoli incentrati sulla messinscena a discapito di un testo che diventa sempre più un pretesto anche quando millanta ascendenze letterarie (da Amleto a Pentesilea) o storiche (dalla marcia su Roma al monachesimo cinquecentesco) e che vede in quello di Handke un testo che è anche messinscena come il teatro italiano contemporaneo sempre più spesso mostra di dimenticare.

 

Compagnia Barletti / Waas

Autodiffamazione 

di Peter Handke

con Lea Barletti Werner Waas

musiche dal vivo Harald Wissler 

www.amicidiluca.it 





Mio figlio era come un padre per me lo studio vincitore di Scenario 2013 cerca di indagare negli interstizi di un nord una volta ricco e adesso in crisi, economica e non solo, dove i figli continuano ad andare alla ricerca di un guadagno facile progettando di uccidere i genitori non più con le mazzate di Pietro Maso ma con una strategia up to date:  farli morire di crepacuore ammazzandogli i figli cioè loro stessi.

Fratello e sorella cercano così modi puliti e non incriminabili per sottrarsi al mondo inducendo i genitori a morire. I genitori però pensano bene di anticiparli togliendosi di mezzo per conto proprio lasciando i figli orfani dell'unica idea di autodeterminazione che li avesse mai sfiorati.

Il nucleo drammaturgico di questo studio è geniale nella icasticità con cui presenta l'idiozia della generazione attuale di giovani talmente sprovveduta da usare la propria morte come strumento interposto per uccidere i genitori. Un racconto nel quale il grottesco convive con la drammaticità macabra di una realtà probabile e possibile.

Il testo funziona nonostante la messinscena si perda in dettagli minimalisti (i boeri mangiati in una sorta di gara ito propiziatorio) distraendo il pubblico con un allestimento scenico performativo che confonde le acque (chiedendogli di decifrare la dinamica della messinscena piuttosto che quella drammaturgica) invece di mostrare con chiarezza l'ammanco di responsabilità dei due personaggi.



Fratelli dalla via

Mio figlio era come un padre per me 

Vincitore Premio Scenario 2013

studio 
di e con Marta Dalla Via e Diego Dalla Via

aiuto regia Veronica Schiavone

partitura fisica Annalisa Ferlini

scene Diego Dalla Via 

costumi Marta Dalla Via




Il riferimento alla serie tv di fantascienza Spazio 1999 fiore all'occhiello dei Mamma Rai che la coprodusse con l'inglese ITC è solamente un pretesto narrativo per uno spettacolo volutamente sgangherato nel quale il musicista  Gérald Kurdian presenta il progetto di un musical di fantascienza a basso budget dal titolo This Is the Hello Monster ! mettendo in scena gli stessi processi di accesso al lavoro teatrale sia per chi il teatro lo fa sia per chi lo guarda.

Tra atti performativi pieni di incidenti tecnici (voluti ma forse no)
e canzoni suonate dal vivo con l'ausilio dell'odierna strumentazione tecnica (un pc mac portatile, alcuni software audio e video, la campionatura della sua voce all'impronta) dove dietro la messinscena del musical che racconta la storia di una donna che si dispera perchè il marito comandate pilota non ritorna dal combattimento contro la forza aliena che minaccia il pianeta (che non è per forza la Terra) - Kurdian invita a ripensare e collettivizzare i procedimenti produttivi più che creativi di una forma spettacolo atomizzata e sempre più precaria.

Geniale, sottile, intelligente e laico 1999 ci (di)mostra come si posa fare teatro senza prendersi stramaledettamente sul serio come fanno tanti (e tante) connazionali.


          Gerald Kurdian (FR)

1999         

ideazione e interpretazione Gérald Kurdian

co-produzione Centre Clark (Montréal), W2 Productions 

si ringrazia Les Laboratoires D'aubervilliers 

Philippe Quesne - Vivarium Studio 

Ccn De Montpellier

La Ménagerie De Verre – Studiolab

www.geraldkurdian.com          





Impression d'Afrique è il romanzo scritto nel 1910 da Raymond Roussel  usando una tecnica molto vicina alla scrittura automatica dei surrealisti. Alla base del romanzo c'è il racconto In mezzo ai neri che comincia e si conclude con le due frasi


Les lettres du blanc sur les bandes du vieux billard...

Les lettres du blanc sur les bandes du vieux pillard...

nelle quali oltre alla variazione per assonanza tra billard (biliardo) e pillard (predatore) il resto delle parole pur identiche nelle due frasi hanno un differente valore semantico.

Nella prima frase, lettres (lettere) è da intendersi nel significato di lettere dell'alfabeto, blanc (bianco) nel senso di segno di scrittura bianco e dunque di gesso e bandes (bande) nel senso di sponde assumendo dunque questo significato:
 

le lettere tracciate col gesso bianco sulle sponde del vecchio biliardo.

Nella seconda frase invece, lettres è da intendersi nel significato di missiva, blanc in quello di (uomo) bianco e bandes nel senso di bande come orde guerriere assumendo dunque questo significato:
 

Le missive inviate dall'uomo bianco a proposito delle orde del vecchio predone.

Partendo da queste due frasi Roussel affronta il problema di scrivere un racconto che cominci con la prima frase e si concluda con il secondo. 

Facilmente intuibile l'attrazione che un tale modo compositivo possa avere per chi fa del proprio lavoro una continua incessante ed eclettica ricerca coreografica altra come quella compiuta dalla compagnia MK.

Il correlativo oggettivo della scrittura automatica di Roussel sta tutto in una coreografia che cerca di conferire alla dinamica e alla postura corporea altri statuti – configurazioni coreografiche inedite ed in questo senso la ricerca sul movimento ne costituisce l’aspetto fondante.

Nonostante il materiale letterario di provenienza attesti la marginalità della trama nei confronti del meccanismo di scrittura MK rimane ancora impigliato nella convinzione della necessità di una trama (idea ancora più bizzarra parlando di una coreografia...) come quando nelle note di regia viene descritto ciò che si andrà a vedere in scena Vedremo una donna destinata al sacrificio, una pattuglia di marines in avanscoperta, dei guerrieri esperti di tecniche di ipnosi…  ma sono corpi che non sanno più che farsene di una  storia. 
Forse per la sua natura di studio gli orpelli scenografici che affogavano la coreografia de Il giro del mondo in 80 giorni qui sono fortunatamente assenti permettndo ai danzatori e alle danzatrici di esprimersi nella pienezza non naturalistica della danza che qui cerca e raggiunge nuovi statuti sulla postura corporea e sul movimento coreografico che ne scaturisce o che in essa si conclude.

Discontinuo per la diversa caratura artistica dei danzatori e delle danzatrici in scena, allo studio manca a tratti il rigore formale nella pulizia dell'esecuzione, non sempre adeguata alla ricerca coreutica che la sottende, Impression d'Afrique affascina e convince sia nei movimenti di gruppo sia (se non soprattutto) negli a solo tra i quai spicca per la perfezione tecnica ed espressiva della danza di [Francesco] Saverio Cavaliere che da solo dà un significato visivo e concreto alle parole nuova postura corporea.

Un uso confuso delle luci, soprattutto in quei quadri di gruppo sbilanciati verso una delle uscite di quinta dove danzatori e danzatrici sono illuminati solo a metà, denota la necessità di una messa a punto tecnica dello spettacolo che non inficia lo splendido lavoro di ricerca sviluppato anche in uno stage che ha preceduto lo studio presentato a Short Theatre, un lavoro che costituisce senz'altro la coreografia più interessante tra quelle proposte a questa ottava edizione del Festival. 


          mk

Impressions d'Afrique           

con Philippe Barbut, Biagio Caravano, Saverio Cavaliere, Marta Ciappina, Eugenia Coscarella, Andrea Sassoli, Elisa Dal Corso, Alice Palazzi, Laura Scarpini.

coreografia Michele Di Stefano

organizzazione Anna Damiani

promozione PAV/Diagonale artistica

produzione mk 2013, Regione Lazio Assessorato alla Cultura Arte e Sport

in collaborazione con Routes Agency e Museo Nazionale Preistorico Etnografico Luigi Pigorini Roma

con il contributo MiBAC
lo spettacolo prevede l’allestimento di una sala prove negli spazi del
Festival per favorire la partecipazione di performer esterni

info: [email protected]

www.mkonline.it         

 

Visto il 13-09-2013