La terza giornata di Short Theatre ha visto debuttare la mise en espace a cura di Lisa Ferlazzo Natoli di Pisica Verde (t.l. Gatto verde) di Elise Wilk tradotta dal rumeno da Roberto Merlo .
Un testo interessante nella sua struttura drammaturgica nel quale il racconto dello stesso sabato sera viene fatto da sei personaggi diversi, studenti di una scuola, direttamente al pubblico, come fosse una testimonianza, o un documentario o, piuttosto, quando si capisce la natura dei fatti accaduti, la deposizione rilasciata alle forze di polizia.
Mentre, tassello dopo tassello, il racconto di ognuna e ognuno (quattro ragazze e due ragazzi) contribuisce a illuminare i fatti accaduti da diverse prospettive, quei fatti acquisiscono così, di momento in momento, una maggiore icasticità e profondità di significato, anche per il portato emotivo con impattano il vissuto di ognuna e ognuno.
Ne emerge una estrema solitudine non solo quella concreta in cui sono lasciati e lasciate vivere i personaggi da famiglie assenti, ma anche quella esistenziale di un gruppo di giovani le cui circostanze impongono loro già di fare bilanci quando avrebbero ancora molto da esperire, confondendo questa circostanza come il segno di una presunta maturità che è solo l'altra faccia di una solitudine totale.
Una solitudine dove la necessità di un consiglio o di una guida non è il segno di una immaturità o fragilità intrinseca (post) adolescenziale quanto l'umanissima necessità di vivere insieme in un consesso dove il collante sociale non sia la competizione capitalista, ma la solidarietà umana la cui mancanza imbarbarisce inesorabilmente.
Figli e figlie del mercato liberista i personaggi di Wilke si muovono come monadi crudeli e spietate educate a credere che libertà significhi fare quello che meglio si crede mentre casomai, come diceva Gaber, libertà è partecipazione.
Bianca, Dani, Boogie, Flori, Roxana e Robert ci raccontano dei loro desideri, delle loro paure, delle proprie meschinità, della crudeltà che li fa agire e fa loro provare e far provare dolore sino all'epilogo annunciato della morte di Bianca, per mano di Dani, che la strangola dopo che le,i accentando di uscire con lui dal locale gli ha regalato il più grande sogno, quello della compagnia di un'altra persona che non sia il gatto verde che si immagina di vedere per sentirsi vivo e non un fantasma, e che poi improvvisamente gli toglie quando lei gli chiede di riportarla a casa.
La forza di questo testo sta nel presentare questi personaggi con le loro storie (Dani e il padre alcolista cui deve badare come un padre bada al figlio) e le differenti origini sociali (l'alta borghesia di Robert che dissimula l'assenza totale della famiglia flirtando con molte ragazze) non già nella loro concretezza di persone ma nella statura morale della figura tanto che Bianca, la ragazza strangolata, è presente nel racconto che avviene non in flashback ma quando quei fatti sono già avvenuti e dunque non potrebbe davvero essere lì. Bianca, Dani, Boogie, Flori, Roxana e Robert vivono proprio nello scarto tra personaggio e figura, esistono proprio nella misura in cui le loro vite non sono spiegate dalle loro origini sociali, che ne fa degli individui, ma vivono perchè colti nella loro essenza di exempla, di monito di un percorso che ci riguarda tutti e tutte perchè ognuno e ognuna di loro non sono schegge marginali della nostra società ma sono la società tout-court la cui responsabilità è dunque anche nostra di spettatori, a teatro come nella vita.
La mise en espace di Lisa Ferlazzo Natoli fa gioco al testo e alla sua struttura narrativa a patchwork dove i monologhi dei sei personaggi a tratti si sovrappongono sottolineando così le emozioni che ognuno di loro vive, e che li potrebbe accomunare se solo non si illudessero di essere l'unica e l'unico a vivere quelle emozioni, indicando un ulteriore meccanismo di esclusione e dunque di solitudine beffarda che non permette loro di accorgersi di quanto siano uniti e legati l'uno all'altra.
Una mise en espace che lascia aperto un varco tra gli e le interpreti e i personaggi grazie a una recitazione che non si basa sull'immedesimazione vista anche la mancanza della memorizzazione totale del testo che induce attori e attrici a mettere mano di tanto in tanto al copione (poche volte a dire il vero) che campeggia in sei copie, una per ogni attrice e attore, sulle sedie vuote prima ancora che lo spettacolo inizi, mentre il pubblico prende posto in platea.
La messa-in-scena di questa distanza tra interprete e personaggio contribuisce a restituire la forza del testo che non presenta delle persone le cui vite vuole raccontarci ma delle figure con le quali il pubblico può specchiarsi e riconoscersi affrancate da una sovrabbondanza di realismo che potrebbe banalizzare tutto nel tentativo di spiegare ogni cosa con un sociologismo paternalistico (tanto caro a certo teatro italiano che vede nei giovani e nelle giovani delle anime sprovvedute) e che Natoli ha la sensibilità e l'intelligenza scenica di non fare, sottraendosi a questa trappola morale.
Il pubblico capisce, e apprezza tributando degli applausi lunghi e meritatissimi.
Lisa Ferlazzo Natoli / Lacasadargilla
Il gatto verde
di Elise Wilk (RO)
traduzione di Roberto Merlo
mise en espace a cura di Lisa Ferlazzo Natoli
in collaborazione con Alice Palazzi
con Caterina Acampora, Lorenzo La Posta, Anna Mallamaci, Valentina Morini, Francesca Verzaro, Mario Zaza
assistente alla regia Francesca Zerilli
si ringraziano il Centro Internazionale la Cometa, per la composizione del cast delle due mise en espace e teatroinscatola, per la disponibilità delle sale prove.
W (prova di resistenza) di e con Beatrice Baruffini si rifà all'opposizione della città di Parma all'aggressione fascista di Balbo, durante la Marcia su Roma del 22, come riportato nel programma di sala.
Questo fatto storico viene portato in scena non secondo le pratiche discorsive del teatro civile e di memoria storica, che rievoca i fatti così come sono accaduti, ma attraverso una messinscena performante che fa del mattone forato il correlativo oggettivo (simbolico e metaforico) di una resistenza che trasla da quella storica e politica a quella della scienza dei materiali (la resistenza fisica di ogni mattone forato).
Un esperimento sviluppato con eleganza che vede i mattoni manovrati dalla performer diventare ora i personaggi (un padre comunista ucciso davanti al figlio dalle squadracce nere) ora gli elementi di un paesaggio urbano (le case abitate con tanto di fori del mattone che, opportunamente illuminati dall'interno, diventano le finestre accese di un edificio a più piani) mentre il racconto di quei fatti si attesta su un tono da parabola più che di cronaca, esortando a una partecipazione comune alla lotta e alla resistenza qualunque sia la propria condizione (uomo o donna adulto o infante, etc.).
Così facendo il racconto dei fatti storici viene sviluppato sul versante personale e privato (la ricerca di giustizia da parte del figlio per il padre assassinato che diventa ben presto la ricerca di una vendetta) e non su quello pubblico e politico. Anche la messinscena performante e curatissima finisce col privilegiare la forma al contenuto che risulta così messo tra parentesi e poco più che un pretesto per una messinscena la cui vera ragione di essere sembra basarsi più sulla ricerca formale della messinscena che sulla drammaturgia.
Un racconto di un fatto storico caldo raffreddato da una messinscena più preoccupata del dettagli del mattone che si illumina per simulare una finestra accesa che a raccontare al pubblico italiano di oggi, notoriamente smemorato, dei fatti mai sufficientemente ricordati e detti.
Beatrice Baruffini
W (prova di resistenza)
Segnalazione speciale Premio Scenario 2013
studio
di e con Beatrice Baruffini
luci e audio Dario Alberici
(M)IMOSA è prima di tutto la collaborazione coreografica tra Cecilia Bengolea, François Chaignaud, Marlene Freitas e Trajal Harrell.
E' poi anche il titolo dato alla versione Medium - da cui la M tra parentesi del nome Mimosa - della serie di spettacoliistallazioni ideata da Trajal Harrell in sette taglie, dalla Extra Small (XS) alla Extra Large (XL), intitolata Twenty Looks or Paris Is Burning at The Judson Church.
Il titolo fa riferimento al film documentario Paris Is Burning (USA, 1990) di Jennie Livingston, girato dalla metà alla fine degli anni 80, nel quale si parla della ball culture (le gare di ballo) della comunità afroamericana e latina, gay e transgender, della città di New York.
Il riferimento alla Judson Church non è religioso ma coreografico: la compagnia Judson Dance Theater ha danzato alla Judson Memorial Church del Greenwich Village, il quartiere gay di Manhattan, New York City, tra il 1962 e il 1964, guidata dal coreografo e compositore Robert Dunn - che aveva lavorato con John Cage - che fu il primo a contaminare la danza con l'estetica postmoderna, anticipando quello che sarebbe successo nella danza moderna nei decenni successivi.
(M)imosa confronta e contamina la danza di Dunn con la Vogue (o voguing) una danza moderna house altamente stilizzata, nata a Harleem, New York, nei primi anni '80 e riportata nella cultura musicale maistream da Madonna nel video della canzone omonima (Vogue).
Questo crocevia di performer, culture e storia della danza (e non solo) newyorkese, restituisce già una prima idea della complessità dell'allestimento che (M)imosa ha portato in cena a Short Theatre, davanti una platea sedotta e ipnotizzata di fronte uno spettacolo totale tra danza, performance, canto e recitazione, con un expertise squisitamente statunitensi.
Tra un gusto camp, che Susan Sontag teorizza negli anni '60, e un gusto citazionista che parte dal consenso popolare idolatrico per certe icone pop per impiegarlo come materia per la costruzione di una identità di un sé altra e antagonista, rispetto quella della vita quotidiana adottata dai danzatori in drag (travestiti per la scena) ritratti nel documentario di Livingstone, (M)imosa si cimenta in una serie di travestimenti.
Travestimenti nella musica (da Prince a Kate Bush) e nella esplorazione transgender dei corpi portati in scena (da quello ginandro di Marlene Freitas ai seni posticci di François Chaignaud) costruendo sulla propria cifra attoriale un personaggio in grado di mettere radicalmente in discussione i ruoli di genere e le identità sessuali che vengono sollecitate ben al di là del dualismo eterosessista e normativo, innervandosi di una divertita vocazione a épater la bourgeoisie dove però la borghesia da sconvolgere non è quella presente in sala ma quella fuori dal teatro, cercando col pubblico una intesa sotterranea, una sororanza anarcoide che autocelebra la propria differenza in un confronto iconoscimento di affinità tra pubblico e performer.
Così i corpi splendidi delle due donne e dei due uomini approdano di volta in volta ai corpi sessuati dell'altro sesso secondo una compagine variegata di possibilità e mediazioni culturali, dalla cultura drag queen di Francois Chaignaud alla riappropriazione femminile di certo immaginario maschile sul corpo sessuato della donna.
Cecilia Bengolea danza con delle scarpe che sono un ibrido tra quella con le punte della danza classica e la scarpa col tacco ipertrofico delle Drag Queen, mentre indossa un costume color carne che, aderendo al suo corpo, la fa apparire nuda, con un copro levigato simile a quello di una bambola gonfiabile, dal quale emerge una generosa erezione prima intuita e poi esplicitata nella sua forma di fallo posticcio, traducendo e decostruendo così il peggio di certo immaginario maschile e maschilista in un esercizio di bravura da parte della performer.
(M)imosa si impone come un personalissimo e lucido percorso performativo nel quale il vissuto e le esperienze e le competenze artistiche dei due e delle due performer si confrontano fungendo ognuno da specchio alle altre, amplificando un discorso che rimane come sottotesto più chiaro al subconscio che all'io collettivo del pubblico.
Un teatro totale fatto con acume e intelligenza splendido esempio di un modo altro di fare teatro.
(M)imosa
Twenty looks or Paris is burning at The Judson Church
coreografia e performance Cecilia Bengolea, François Chaignaud, Trajal Harrell, Marlene Monteiro Freitas
disegno luciYannick Fouassier
costumi La Bourette
luci Sylvain Rausa / Yannick Fouassier
suono Enora Le Gall / Martin Trinquart
un ringraziamento speciale a Matthieu Banvillet, Sarah
Michelson, DD Dorvillier, Ben Pryor, Lasseindra Ninja, Alex Mugler, Rumi
Missabu, Pascal Queneau, Archie Burnett, Javier Madrid, Matthieu
Bajolet, Donatien Veismann, Miguel Bengolea, Marianne Chargois, Joao
Figueira, Rio Rutzinger, Emmanuelle Huynh, Jessica Trossman.
produzione VLOVAJOB PRU con Le Quartz – Scène nationale de Brest
coproduzione Le Quartz - Scène nationale de Brest, Théâtre
National de Chaillot, Centre de Développement Chorégraphique – Toulouse,
The Kitchen – New York, Bomba Suicida, FUSED – French US Exchange in
Dance
con il supporto di la Ménagerie de Verre – Paris et des Laboratoires d’Aubervilliers
Cecilia Bengolea and François Chaignaud are associated to Ménagerie de Verre – Paris
Bomba Suicida è sostenuta da Secretaria de Estado da Cultura - Governo de Portugal e Direcção Geral das Artes.