Jesi, teatro Pergolesi, “Shylock. Il mercante di Venezia in prova” di Roberto Andò e Moni Ovadia da William Shakespeare
STRANIERI A SE STESSI
Roberto Andò e Moni Ovadia tornano a scrivere insieme per il teatro dopo “Le storie del signor Keuner” da Bertolt Brecht, mettendo le mani sul mercante di Venezia shakespeariano. La vicenda è ambientata ai giorni nostri, in un luogo post-industriale che potrebbe essere un loft adattato a teatro ma ancor più un ospedale psichiatrico. Moni Ovadia interpreta un regista ebreo che incontra un produttore (Ruggero Cara), un multimilionario sbruffone e presuntuoso (che ha cominciato cantando sulle navi da crociera) che si scopre commerciare con esseri umani e organi. Nei panni di Shylock, ma anche dello stesso Shakespeare, Shel Shapiro.
L'inizio dello spettacolo introduce nel luogo e nelle intenzioni della trama, Ovadia è ironico come suo solito ma intristito. Il regista vuole tornare in scena dopo dieci anni ed incontra così il produttore dello spettacolo e la “bad company” che lo metterà in scena, una congrega di persone diversissime tra loro, improbabili personaggi.
Molti, ironici ed intelligenti gli agganci al contemporaneo (“oggi i politici sono gli unici a voler continuare a recitare”), anche se alcuni momenti paiono meno risolti.
Come consuetudine negli spettacoli di Ovadia, alle parole si mescolano musiche e canzoni, che in questo caso spaziano dai Queen (“Who wants to live forever” viene spesso ripetuta) al gospel (“When Israel was in Egypt land, let my people go”), da “Money” a suggestioni klezmer e balcaniche con un'orchestrina dal vivo, la Moni Ovadia Stage Orchestra (Luca Garlaschelli, Massimo Marcer, Albert Florian Mihai, Vincenzo Pasquariello, Paolo Rocca). La scrittura teatrale coinvolge più lingue per superare barriere geografiche: italiano, inglese, tedesco, spagnolo, ebraico, rom (sempre comprensibile o tradotto sul muro di fondo), una Babele linguistica.
Moni Ovadia e Shel Shapiro si alternano nel ruolo di Shylock, Shel Shapiro è un po' Shylock un po' Shakespeare, guardato a vista da una infermiera supersexy, teledipendente e isterica. In scena anche una Porzia seminuda, la cui interprete fornisce prestazioni sessuali (forse per ottenere/mantenere il ruolo nel mondo dello spettacolo, spinta/ricattata dal produttore).
La vicenda viene incentrata sulla questione del contrasto di religione, ebraica e cristiana (rectius cattolica), partendo dalla caricatura dell'ebreo fatta dalla Chiesa in epoca rinascimentale e a cui si è allineato per certi versi il Bardo. Vibrante il momento in cui il testo shakespeariano si mescola a un discorso hitleriano (in video). Ovadia calca la mano sull'elemento di diversità della figura di Shylock che lo rende inviso al contesto in cui vive, rendendolo odioso ai suoi stessi concittadini senza certi motivi: però l'ebreo che cosa ha di diverso dal cristiano? Nulla, ovviamente. Se non pretesti artificiosi e artificiali precostituiti ad arte. Guardando l'oggi, Shylock è uno zingaro: il fisarmonicista della band canta con doppia voce, baritonale e in falsetto come un contraltista, il suo essere zingaro (con scontata bandana nera e grosso orecchino piratesco)
“Essere stranieri a se stessi, avere come puntelli improbabili solo ingiallite foto”.
Nel momento del processo, l'avvocato-Porzia pronuncia con spregio e sfregio la parola “ebreo” per colpire e ferire Shylock, mentre sul fondo sfilano foto sbiadite di ebrei con la stella gialla sul petto, e “l'accusa” suona particolarmente sinistra contro Moni Ovadia. Nel finale i due protagonisti sono lunghi sui lettini-barella dell'ospedale e se la ridono.
Teatro gremito, molti applausi. Su questi Ovadia annuncia la lieta notizia della liberazione dei tre italiani in Afganistan riconosciuti non colpevoli: Emergency è compagna di viaggio di Ovadia.
FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al
Piccinni
di Bari
(BA)