Siddharta, opera musicale liberamente ispirata all’omonimo romanzo di Herman Hesse, ma anche al film di Bernardo Bertolucci Piccolo Buddha, è arrivato al debutto presso il Brancaccio di Roma quasi in sordina, durante le festività natalizie, dal 3 al 6 gennaio. E, in un certo senso, in maniera anche inaspettata, ha immediatamente riscosso il gradimento del pubblico.
Nonostante l’eccessiva lunghezza, lo spettacolo – scritto dalla cantautrice IsaBeau con Fabio Codega e la collaborazione alle musiche di Beppe Carletti dei Nomadi – ha un forte impatto visivo, potendo contare, ad esempio, su un disegno luci a tratti tutt’altro che intimistico, quasi “invasivo”, affiancato però da proiezioni video stupefacenti, come da tempo non se ne potevano apprezzare. Davvero un musi-kolossal, che ricorda gli imponenti allestimenti e l’impegno produttivo di lavori quali Notre Dame de Paris e I dieci comandamenti (quest’ultimo, in realtà, non ha ottenuto il successo sperato, almeno in Italia, n.d.r.).
La storia di Siddhartha («colui che cerca») in questo spettacolo viene suddivisa in due parti : il primo tempo racconta la vita del Principe all’interno del suo castello dorato, protetto dall’affetto delle persone care e circondato dagli agi e dagli onori a lui tributati dal popolo; il secondo tempo descrive, dopo la “scoperta” e successiva “consapevolezza dell’esistenza della sofferenza umana, il viaggio alla ricerca della vera essenza della vita e l’incontro con il Buddha Gothama, il «Perfetto», fino al raggiungimento dell’illuminazione interiore, che si manifesta non nell’eliminazione del dolore, ma nel “vivere (l’amore) in serenità, con gioia e con semplicità”.
“Quante sono le cose che non riusciamo a vedere? Quanti giorni, quanti mesi, quanti anni vissuti sulla strada del niente? E quante cose cerchiamo al di fuori di noi? Ma la felicità è sempre lì, dove non guardiamo mai, nel nostro cuore. Perché “tutto è dentro di noi e intorno a noi”.
Un messaggio che non si allontana molto dalla (successiva) tradizione cristiana: risulta facile, assistendo allo spettacolo, un certo parallelismo con la dottrina francescana.
Le musiche richiamano la tradizione indiana, intrecciandosi con sonorità moderne (non mancano velati accenni a Morricone, n.d.r.) ma soprattutto spaziano su vari generi (atmosfere rock-musical in stile Jesus Christ Superstar, sonorità gospel & spiritual, fino alla contaminazione tra l’Om e la tradizione del canto gregoriano) e soprattutto non annoiano (nonostante il prolungato ripetersi di alcuni passaggi o ritornelli, n.d.r.)
Giorgio Adamo, nei panni di Siddharta, è sicuramente dotato di una voce decisa e di una presenza scenica forte (che il pubblico dimostra di apprezzare, n.d.r.), a catturare l’attenzione sulla storia ci pensano anche altri personaggi come il Siddharta anziano, interpretato da Paolo Scheriani, o il barcaiolo Vasudeva (Gaetano Caruso). Emotivamente significativi i ruoli del Re (Paolo Gatti) e della Regina Maya (Chiara Sarcinella).
Più in generale, si ha l’impressione che non tutti i protagonisti capiscano bene quello che stanno facendo; un aspetto riconducibile probabilmente anche ad alcune “leggerezze” a livello drammaturgico. Personaggi come Govinda (Michelangelo Nari) o Kamala (Caterina Desario), figure centrali nel romanzo di Hesse, sul palcoscenico, a mio parere, non vengono pienamente valorizzati; mentre un altro personaggio, Ishan (Daniele Arceri), almeno dal punto di vista vocale, rende e non fa fatica a farsi notare.
Il cammino di Siddharta lo porterà, dal 7 al 17 febbraio, al Teatro degli Arcimboldi di Milano, dove ci si augura che lo sforzo produttivo di questo allestimento venga premiato dal pubblico, perché lo spettacolo (nonostante l’eccessiva durata) merita di essere visto.