Lirica
SIMON BOCCANEGRA

La direzione prima di tutto

La direzione prima di tutto

Simon Boccanegra è un’opera affascinante per l’universalità dei temi trattati, odio, amore, potere, perdono, e per un linguaggio musicale maturo che, privilegiando il declamato e il concetto di scena, ricerca continuità ed efficacia drammatica. L’opera fu “riscoperta” da Claudio Abbado negli anni Settanta con un memorabile allestimento scaligero e da allora è una presenza ricorrente nella programmazione dell’Ente milanese, dove ora ritorna in scena nell’allestimento creato da Federico Tiezzi nel 2010 e ripreso nel 2014 (già recensito dal sito). Rimandiamo alla nostra precedente recensione per quanto riguarda l’approccio registico e le soluzioni scenografiche di Pier Paolo Bisleri, precisiamo solo che la straordinaria direzione musicale di Myung-Whun Chung è talmente ricca di contenuti descrittivi e drammatici che lo spettacolo ne trova giovamento e che certi limiti, come l’aver messo in scena un “Simone senza il mare”, risultano ora attenuati.

La direzione infatti, autentica protagonista di questa ripresa, rende manifesta l’incredibile ricchezza di una partitura colta sia in una visione d’insieme che di dettaglio, in un continuo dialogo fra dimensione sincronica e diacronica che guarda alla lezione di  Abbado. Chung mantiene sempre alta la tensione e imprime una forte logica narrativa, potremmo chiudere gli occhi e vedere tutto, ma non è mera narrazione in quanto vi si innestano, grazie al continuo variare di dinamiche, colori e spessori, sempre nuovi significati emotivi, psicologici e descrittivi. La complessità dell’orchestrazione di un Verdi “sinfonico” è valorizzata da una lettura attenta alle sfumature, al rilievo degli strumenti solisti e della parola scenica, e la direzione, mai prevaricante nell’accompagnamento dei solisti e del coro, è capace da sola, con pause liriche, stacchi giusti e  crescendi drammatici, di evocare situazioni e sentimenti in sintonia con le luci e  le scelte registiche. La regia non mette in scena la natura, ma è la musica che qui diventa un organismo naturale dotato di vita e verità proprie che ci lasciano senza fiato. In virtù di una complicità palpabile fra direttore e orchestra il suono è mobile e cangiante, si addensa inquieto per poi distendersi, si staglia compatto per poi declinarsi in un’infinità di sfumature: il cielo, il mare, la brezza. Per lo spettatore la fruizione dell’opera diventa immediata e inevitabile, sparisce ogni traccia di artifizio e anche il canto ha una naturalezza espressiva tale che sembra nascere sul momento dalla situazione drammatica e non a caso hanno forte rilievo i momenti di esitazione, indugio e crisi.

Nel cast si alternano nel ruolo protagonista due “leoni” della lirica:  Leo Nucci e Placido Domingo, diversi per vocalità, ma accomunati da carisma e ragioni anagrafiche. Di Boccanegra Leo Nucci sottolinea soprattutto la carica umana e non a caso trionfa nei momenti più intimi, come nei duetti con la figlia e nella scena della morte; in sintonia con la direzione e merito di una capacità non comune di lavorare sull’inflessione e sull’accento, non si avverte nessuna maniera e il personaggio risulta autentico (certo, nella scena del Consiglio la voce è meno incisiva che in passato, ma non dà segno di cedimenti). Carmen Giannattasio è un’Amelia fresca e avvenente dal viso di bambola e la voce lirica si piega alle sfumature espressive previste dal ruolo. Dmitry Beloselskiy ha voce grave e profonda  e un colore scuro che si addice all’implacabile Fiesco di cui esalta la protervia; rispetto al resto del cast, tutto italiano, manca però l’idiomaticità necessaria per scolpire certe parole. Ci è piaciuto il Gabriele Adorno di Giorgio Berrugi per la verità del canto lontano dallo stereotipo tenorile, un personaggio lacerato e moderno: si apprezza il modo elegante di porgere il canto e lo slancio, che se pur incisivo non appare mai esibito. Massimo Cavalletti è uno dei baritoni italiani della nuova generazione da seguire per intensità vocale e interpretativa e il suo Paolo dalla voce scura e possente è una figura maligna che lascia prefigurare Jago.  Ernesto Panariello è un Pietro corretto, Luigi Albani interpreta il capitano dei balestrieri. Conclude il cast l’ancella di Barbara Lavarian.

In sala per tutta la durata dello spettacolo si è percepita, cosa rara, una grande empatia da parte del pubblico che ha tributato alla fine applausi prolungati ed entusiasti a tutti gli interpreti e ovazioni al direttore.

Visto il 25-06-2016
al Teatro Alla Scala di Milano (MI)