Correnti Alternate è uno dei due segmenti di cui si compone la stagione di prosa 2017/2018 del Teatro Ca’ Foscari di Venezia, privilegia giovani formazioni e nuove forme di scrittura per la scena, recuperando così la vera vocazione di un teatro universitario, cioè quella ricerca e quella sperimentazione troppo spesso assenti nelle proposte degli altri teatri della città lagunare.
Starlùc si inserisce perfettamente in questa direzione, lo spettacolo del collettivo Mamaldur, per la regia e la drammaturgia di Alessia Cacco e Jacopo Giacomoni, è uno spettacolo giovane e vitale, dove i linguaggi si intersecano, mescolando cinema teatro e televisione con la necessaria dose di ironia.
La fantascienza a teatro
Eh, sì, non capita spesso: la fantascienza è roba da romanzi Urania o da pellicole hollywoodiane, il palcoscenico invece luogo di riflessioni meno epiche. Tutto sbagliato, sembrano dire i cinque interpreti di Starlùc: anche su un pianeta improbabile e dal nome strampalato si può rimanere imbrigliati nelle storture del sistema, diventare vittime di astuti trafficanti, fare la spia, tradire, emanare mistificanti proclami, barattare la lealtà con una promozione.Dunque, tutto qui? Le sconosciute galassie che galleggiano nello spazio non sarebbero altro che una misera replica del nostro mondo? In realtà non sono queste le domande cui prova a rispondere Starlùc, lo spettacolo non indaga sulla possibilità di una società perfetta, piuttosto sull’insopprimibile necessità dell’uomo di cercarsi e procurarsi, a tutti i costi, un Dio.
Ma Dio chi è?
A Starlùc Dio si chiama Dore ed è una donna. Non è nata da spirito divino, ma generata da ragion di stato. Dore era la guida della comunità, dopo la morte l’élite al potere imbastisce il mito della sua divinità: un mito serve a rafforzare le fedi vacillanti, si sa. Mille anni più tardi due sempliciotti, la sentinella Ah e Wanguelien, un Virgilio post litteram, hanno saputo del ritorno di Dore e corrono nel luogo dove apparirà. Ma i poteri forti, che non vogliono mettere in discussione il mito, lo impediranno.
Un apologo insomma dove il viaggio è ricerca, al ritmo di una colonna sonora che contamina generi e sonorità, indirizzando gli attori a momenti di scoppiettante dinamismo, è il caso del corpo speciale che fa le sue irruzioni o il divertente riepilogo della storia del pianeta, o a sprazzi di consapevolezza interiore come il monologo finale della sentinella. Lo spettacolo consuma i suoi ottanta minuti in leggerezza, puntando sulla solida complicità dei cinque attori, a fronte invece di una certa rigidità recitativa, mentre macchinoso è apparso a più riprese il montare e lo smontare il parallelepipedo di scena.