Prosa
SUL CONCETTO DI VOLTO NEL FIGLIO DI DIO. VOL. I

Il doloroso calvario dell'Uomo-Gesù trasfigurato

Il doloroso calvario dell'Uomo-Gesù trasfigurato


Reduce dal debutto ad Essen al Theater der Welt, città della Germania, capitale europea della cultura 2010, è andato in scena in prima nazionale l'attesissimo Sul concetto di volto nel Figlio di Dio vol. I della Socìetas Raffaello Sanzio, nell'ambito del festival entrato nel vivo proprio con l'allestimento di Romeo Castellucci, dove l'interrogativo è rivolto verso una fede religiosa a cui sembra mancare il credo. Un enorme ritratto del viso di Gesù ripreso dal capolavoro dell'Ecce Homo, dipinto da Antonello da Messina, campeggiava sull'enorme parete bianca della sala turbine alla Centrale di Fies. Presenza imponente quanto inquietante, dove la restante scenografia bianca asettica, unitamente alle presenze umane degli attori, pareva un mondo minuscolo nella sua fragilità materiale e anche esistenziale. Visto così il Gesù incuteva un timore reverenziae. Impossibile distogliere lo sguardo. L'incontro con il Figlio di Dio a cui l'uomo non può sottrarsi. La regia sposta l'attenzione sulla fragile presenza umana e materializza la sofferenza di chi la vive sulla propria pelle/esistenza – coscienza, fino a spingersi ad una rappresentazione crudele, quanto verosimile da divenire paradossale. È un uomo vecchio che soccombe alla degenerazione del suo corpo martoriato ed umiliato. Il tutto è reso ancor più spaventosamente tragico nella scelta scenica di allestire un interno borghese arredato da mobili funzionali. Un televisore, un divano, un letto, rigorosamente bianchi.Una qualunque anonima stanza immersa in una luce bianca abbacinante. In scena un uomo vecchio e malato e un figlio amorevole dedito ad assisterlo. Un gesto d'amore e di dedizione dalla connotazione tipicamente cristiana che sembra dire : “Ama il prossimo tuo come te stesso”. Un susseguirsi di azioni nelle quali Castellucci ci costringe a non soffermarsi sulle apparenze e destruttura l'azione scenica con un crescendo angosciante, dove l'uomo rilascia i suoi umori corporali e si ricopre delle sue stesse feci, (con tanto di effetto olfattivo nauseabondo) nell'inutile tentativo del figlio intento a pulire, disinfettare, cambiare, quel corpo ormai privo di una sua dignità. Non è mai stato un teatro di parola, la cifra stilistica della Socìetas: la recitazione aderente dei due protagonisti Gianni Plazzi e Sergio Scartella, capaci di tratteggiare con una perfetta convinzione i loro ruoli, è data da un'espressività corporea empatica che rinfrange sul pubblico e travolge tutto. La voce è qualcosa che non deve dare sostanza al testo scritto, ma è al servizio dello stato d'animo, del sentimento provato. Sono parole sussurrate, bisbigliate, attente all'intenzione che va a rimarcare ciò che accade dentro/fuori le persone. In chi ascolta provoca emozioni distoniche. Ogni credo, convinzione, certezza o speranza si frantuma dinnanzi ad una scena apocalittica. Il vecchio è ridotto ad un corpo inerte e sporco. Il figlio disperato si rivolge a Gesù, sembra implorarlo. L'entrata in scena di un manipolo di giovani figuranti (comparse scelte per l'occasione) fa esplodere una gragnola di granate sul volto del Gesù , dove il fragore si mescola alle note martellanti e terrificanti che compongono la musica congeniale scritta da Scott Gibbons. Sembra tutto crollare, il viso di Gesù si decompone come sottoposto ad una fiammata di calore, ma dalle ceneri risorge e riappare integro come un suo doppio. Il messaggio pare dire: l'impotenza umana nulla può fare contro il mistero della vita, della sua genesi. Spettacolo complesso in divenire per creare le fondamenta di una rappresentazione più completa ed esaustiva sul concetto di Gesù che recherà il titolo finale “J”. Dopo il necessario assestamento dato dalle successive rappresentazione sarà interessante rivederlo e capire a fondo le molte inquietudini sotterranee che sono affiorate e hanno coinvolto a lungo il pubblico al termine della rappresentazione. La notte a Drodesera è lunga e stimola la discussione.

Visto il
al Massimo - Sala Grande di Cagliari (CA)