Lirica
TANCREDI

Tancredi e i sud d'Italia

Tancredi e i sud d'Italia

Rossini ha composto due versioni di Tancredi, la prima con finale lieto andata in scena per la prima volta a Venezia il 6 febbraio 1813, la seconda con finale tragico andata in scena per la prima volta a Ferrara nel marzo seguente: qui al libretto di Gaetano Rossi, tratto dall'opera di Voltaire, fu sovrapposto il finale di Luigi Lechi. All'epoca fu la versione di Venezia a trionfare, anche se Rossini preferiva quella di Ferrara, che invero sembra già preludere al romanticismo, e su questa  è caduta la scelta del Circuito lirico lombardo, l'unico che ha messo in scena Tancredi nel bicentenario della composizione.

Nella scenografia di Francesco Frongia si utilizzano i colori del sud per ricreare un ambiente che evochi vari sud, dai pupi siciliani alle processioni sarde, dalle luminarie pugliesi ad altro ancora con elementi di dubbio gusto illuminati da Nando Frigerio tra le mantovane di iuta grezza. I costumi di Andrea Serafino sembrano usciti dai supermercati dell'Est in epoche recenti senza declinare una scelta precisa; invece è preciso l'intento di ritrarre comparse e coristi come pupi siciliani con i pomelli rossi sul viso, gli occhi bistrati e i capelli neri. I pupi sono presenti nel finale come se tutta l'azione fosse stata un racconto nel teatrino ricostruito sul fondo della scena e ripreso nel velatino con immagini da figurine Liebig. Non particolarmente incisiva la regia di Francesco Frongia: non funziona il contrasto iniziale tra contadini e borghesi dove prevale la rabbia istintiva e il resto del plot resta ancorato a un retrogusto grottesco-realistico che non avvince né convince, anche se va riconosciuto che la trama non consente particolari invenzioni registiche.

Va meglio sul versante musicale. Il direttore Francesco Cilluffo guida l'orchestra I pomeriggi musicali con tempi giusti e la scelta di un suono poco leggero forse lascia intuire da subito il finale tragico. Teresa Iervolino ha voce scura e duttile che sale in acuto senza difficoltà, è ben timbrata nei centri e si allarga abbastanza nel grave: declamato in modo appropriato l'attacco della cavatina, un “O patria” che introduce all'atteso “Di tanti palpiti”. Sofia Mchedlishvili è Amenaide squillante e precisa, scenicamente penalizzata dai costumi. Mert Sungu affronta Argirio con generosità, voce luminosa e limpida, ampia e veloce nelle salite verso l'alto, lo squillo potente e controllato, attorialmente impacciato dal recare sempre un bastone forse a voler indicare il ruolo di comando o la saggezza paterna. Con loro Alessandro Spina nella parte di Orbazzano, tratteggiato però con poca eleganza e misura come un carabiniere. Raffaella Lupinacci e Alessia Nadin affrontano bene le parti di complemento, rispettivamente Isaura e Roggiero, presentando con sicurezza le proprie arie. Il coro del Circuito lirico lombardo è stato preparato in modo non impeccabile da Diego Maccagnola.

Pubblico numericamente non rilevante per un'opera che si dava al Ponchielli per la prima volta.

Visto il
al Grande di Brescia (BS)