Genova, teatro Carlo Felice, “Tea: a mirror of soul” di Tan Dun
LA MAGIA DELL’ACQUA, DELLA CARTA E DELLE STOVIGLIE
Tan Dun è un compositore cinese di punta, vincitore di importanti premi musicali (Grammy Award, Academy Award, Musical America's Composer of The Year), conosciuto anche per le musiche da film per Ang Lee e Zhang Yimou. Un musicista eclettico che fonde in modo personale e creativo oriente e occidente oltrepassando i confini fra musica classica e non, folclore e avanguardia. Negli ultimi dieci anni ha più volte affrontato la lirica e le sue opere – cosa rara per la musica contemporanea - sono state riproposte con successo in tutto il mondo, segno di una capacità di guadagnare l’audience, come la riuscita “Tea : a mirror of soul”, opera del 2002 recentemente riproposta a Santa Fe ed ora presentata a Genova in prima esecuzione italiana in forma di concerto.
L’opera racconta in modo retrospettivo e frammentario il tragico amore fra la principessa cinese Lan e il principe giapponese Seyko, la storia è inserita all’interno di un percorso d’ iniziazione e di ricerca del Libro del tè e del suo cerimoniale, un rituale imbevuto di simbolismo, essenza della vita e specchio dell’anima, che accomuna le due diverse civiltà orientali. Anche se la vicenda non è completamente sviluppata e gli interpreti sono carichi di aspetti metaforici e concettuali (Lan è l’amore, Seikyo la filosofia, il Principe la rabbia) quest’opera delicata e malinconica seduce e commuove come fosse un melodramma.
La particolarità dell’opera risiede nel suo linguaggio, Tan Dun crea “musica organica”, incorpora i suoni naturali dell’acqua, della carta, delle stoviglie in un ordito strumentale occidentale. Tali sonorità, reminiscenze del mondo cinese rurale della sua infanzia, restituiscono l’estetica e la ritualità del tè e sono i momenti più emozionanti della partitura, sorprendenti, oltre che per la bellezza intrinseca, per la capacità di dialogare fino a fondersi con gli strumenti dell’orchestra occidentale: percussioni, arpe, flauto, archi.
Ogni atto è caratterizzato da sonorità diverse ottenute da tre percussioniste che, dopo essere avere estratto suoni dolci e lenti da una gabbietta metallica accarezzata con un archetto nel buio della platea, raggiungono il palcoscenico e si uniscono agli orchestrali offrendo una performance gestuale di forte valenza simbolica, quasi una danza, dai gesti eleganti, ripetitivi, impalpabili, in una parola “orientali”. Affondano le mani nell’acqua percuotendola con diversa intensità, uno sciabordio che coinvolge ed ipnotizza, un fluire ancestrale capace di dialogare con le voci e con il lento salmodiare dei monaci.
Se l’acqua introduce una dimensione lirica adatta alle divagazioni sul tè e alla storia d’amore, le percussioni sulla carta introducono il conflitto: carta velina o gonfaloni sventolati con grazia restituiscono suoni leggeri come il battito d’ali o di un respiro, ma poi stropicciati, suonati, gonfiati e scoppiati generano tensione drammatica. Il terzo atto viene introdotto da percussioni sulle stoviglie, sonorità di terracotta profonde, cupe e tribali. Seguono i sassi, picchiati gli uni contro gli altri, per segnalare la difficoltà della scelta e la morte di Lan, lancinante e disperata. Dopo la morte della protagonista, finito il flash –back, si torna al punto di partenza, al tempio di Kyoto con i monaci buddisti e i loro “om” che risuonano malinconici fra scrosci d’acqua e pizzicati d’arpa, si abbassa la luce in sala mentre l’acqua continua a gocciolare, lo specchio dell’anima.
Tan Dun fonde con tale equilibrio e capacità formale suoni di tradizioni musicali diverse che il risultato è molto “occidentale”, l’opera ha un tema ricorrente e riconoscibile nella migliore tradizione (il tema del tè) e l’ascoltare coglie con piacere stilemi della musica classica recente Britten, Bernstein, Shostakovic, Cage,. fino a ritrovare in Lan (nel gioco di rimandi fra Oriente ed Occidente) la dolcezza di Liù o lo struggimento di Butterfly. Ma il recupero di suoni di una memoria individuale, l’improvvisazione , il suonare l’oggetto quotidiano conferiscono autenticità e freschezza evitando il folclore o ancora peggio una banale versione cinese della musica occidentale.
L’ottimo cast vocale e tre percussioniste d’eccezione hanno contribuito al successo dell’esecuzione.
Proprio per Nancy Allen Lundy, cantante che privilegia la musica contemporanea, è stata scritta la parte di Lan, di cui ha offerto un’interpretazione sentita e vibrante creando un personaggio dolce e intenso con bella voce ben modulata e molto musicale. Klemens Sander è Sekyo, personaggio sofferto e profondo come la tessitura baritonale. Warren Mok, il Principe, si è distinto per la voce nitida e squillante, a suo agio con gli acuti previsti dalla parte. Il giovane basso Insung Sim restituisce giusta autorità vocale all’Imperatore e la mezzosoprano Ning Liang è ombra e cerimoniera del tè.
Lawrence Renes è riuscito a fare scaturire tutta la bellezza dell’orchestrazione dirigendo con gestualità efficace e avvincente l’eclettica partitura, assecondato da un’orchestra particolarmente precisa ed equilibrata in sintonia con le percussioni.
Anche il coro maschile preparato da Ciro Visco si è distinto per intensità e precisione.
L’opera è stata seguita con attenzione palpabile e applaudita a lungo, a conferma che la musica contemporanea può essere accattivante e sedurre anche un pubblico “tradizionale” .
Visto a Genova, teatro Carlo Felice , il 7.6.08
Ilaria Bellini
Visto il
al
Carlo Felice
di Genova
(GE)