Family Tree è stato già presentato alla scorsa edizione di Teatri di Vetro, all'Angelo Mai, in uno spazio più informale e forse più adatto del palco del Palladium alla sua natura di performatività per frammenti.
Al centro della performance il corpo di Chiara Bersani affetta da Osteogenesi Imperfetta, alterazione genetica che colpisce lʼapparato scheletrico rendendolo fragile.
Indagando il proprio corpo come contatto tra passato e presente, radice che ci connette al mondo come si legge nelle note di regia, Bersani ha chiesto a vari artisti di allestire
una performance di ricomposizione del suo corpo. Ne sono scaturiti diversi frammenti autonomi in ognuno dei quali un diverso artista articola il proprio universo estetico, in un discorso nel quale i linguaggi dell'istallazione d'arte, della danza e della performance si contaminano.
Ai due frammenti presentati lo scorso anno all'Angelo Mai si è aggiunto quest'anno il terzo frammento Epilogo.
Persa la numerazione che li caratterizzava lo scorso anno i frammenti appaiono delineati solamente dal titolo.
Hallway di Matteo Ramponi ha sicuramente guadagnato in pulizia d'esecuzione rispetto lo scorso anno anche grazie al nuovo spazio d'esecuzione (il palco di un teatro e non lo spazio vuoto e privo di infrastrutture de l'Angelo Mai). Preciso, con una esecuzione fluida, ha perso tutta l'osticità di cui ci eravamo andati lamentando allora.
La voce registrata di Chiara è stata ridotta all'essenziale e adesso si chiede solo come apparirebbe al suo stesso sguardo se potesse osservarsi da lontano oppure ragiona sull'abbandono al quale ci affidiamo per riempire le nostre vite.
Intanto che la voce di Chiara ci parla il performer Ramponi interagisce con gli oggetti di scena. Le casse da cui è riprodotta la voce registrata di Chiara sono sollevate a mezz'aria, mentre un fumo spesso inonda il palco e la platea e diventa schermo sul quale Ramponi proietta raggi di luce facendoli riflettere anche da una sfera specchiata (di quelle da discoteca) mentre si fa strada nel fumo, oscura silhouette inquietante.
Poi Ramponi stesso viene sollevato da una fune mentre la sfera sale con lui sostituendosi alla sua testa, sfera perfetta sproporzionata rispetto la suo corpo e reclinata con indolenza.
Poi la luce riflessa dalla sfera si concretizza nei tanti punti luce delle abat-jour che Ramponi ha disseminato per il palco accendendole una dopo l'altra.
La presa di distanza e la proiezione da sé sono restituite in un analogon visivo che atomizza il corpo del performer e, al contempo, il corpo di Bersani reinterpretandolo. Corpo che si distingue per la sua assenza (sottrazione, abbandono, polverizzazione, diffusione luminale e radiosa).
Chiara Bersani appare in scena nel secondo frammento, Volta (il riferimento è ad una una danza rinascimentale nella quale il cavaliere sosteneva la dama facendola voltare in aria), nel quale Riccardo Buscarini la tiene avvinta a sé mentre gira su se stesso lentissimamente mostrandone la fisionomia e la fattura le mani
e la testa da adulta il corpo minuto e corto. Nel movimento continuo Bersani scivola lentamente a terra mentre Buscarini le funge da
contrappeso, e si china a sua volta, assumendo una posizione prona, guidato dall'imposizione delle mani della donna fino a che Chiara gli monta sulla schiena e lo cavalca, amazzone spigliata e trionfante.
E dopo la cavalcata che finisce di stremare Riccardo, amazzone e ...cavallo giacciono a terra languidi finché all'improvviso scatta il bacio sul quale scende il buio conclusivo mentre Ramponi tira a sé tutte le abat-jour.
Anche Volta è stato asciugato nei tempi con un risultato meno felice del precedente Hallway. Soprattutto la parte finale quando il corpo del perfromer e quello di Bersanisi (ri)conoscono sulla base della calma che segue allo sforzo fisico, finché quel limite fisico diventa qualcosa d'altro e magari anche desiderio quest'anno viene congelato in una rappresentazione e non più colto nel suo effettivo radicarsi nei corpi, più coreografato e meno vissuto insomma risultano di comprensione meno diretta per il pubblico che vi ha assistito.
Il palco da teatro borghese aumenta poi la separazione tra performer e platea giovando meno a questo secondo frammento, aumentando il senso di distanza e dunque di alienazione tra Chiara e noi.
Il nuovo frammento Epilogo vede nevicare in scena mentre quattro musicisti, due donne e due uomini, di verde vestiti, vengono mostrati nell'attimo prima di cominciare a suonare lo strumento che ognuno di loro tiene in mano senza che quel momento cominci mai.
La lentezza, l'attimo che precede il climax performativo, il fumo che diffonde le luci e il corpo del perfomer dalla testa sproporzionata, sono tutte tessere di quel mosaico nel quale Chiara (ci) si rappresenta per frammenti, in una performance di ricomposizione del suo corpo cui contribuisce lo sguardo indagatore della platea che tocca e interroga con gli occhi il suo corpo riconoscendone, nella sua diversa fisionomia, quell'afflato di vita che Chiara mette in gioco sottoponendosi alla relativa pericolosità dei movimenti che, se eseguiti male, possono portarla a cadere e a ferirsi, data la sua fragilità ossea, in un cortocircuito tra rischi simbolici e
rischi concreti della performance.
Una performance intensa seducente ad alto impatto emotivo niente affatto banale nelle sue implicazioni e nel suo ragionar facendosi.
Family Tree
concept: Matteo Ramponi
assistente: Claudia Valla
creazione: Buscarini / Bersani / Ramponi
suono: Paolo Persia
VOLTA
Vincitore del Premio Prospettiva Danza Teatro 2011, Padova
concept, coreografia: Riccardo Buscarini
assistente: Antonio de la Fe
azione, creazione Bersani / Buscarini / Ramponi
con: Marco D’Agostin
suono: Sebastiano Dessanay
concept: Chiara Bersani
creazione: Bersani / Ramponi
suono: Mattia Bersani / Leonardo Tedeschi
produzione: Corpoceleste con Ina/Assitalia - Piacenza, Stanhome S.p.A -
sede di Parma e Piacenza, Accademia Domenichino da Piacenza, ASITOI
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Requiem for Pinocchio di e con Simone Perinelli più che un seguito alla favola di Collodi, come viene presentato nel programma di sala, è una rivisitazione della medesima attraverso l'immaginario collettivo anni 70 tra slogan pubblicitari e programmi televisivi di allora (il Pinocchio di Comencini compreso) fatta dal punto di vista della fragile umanità del bambino Pinocchio che rivive le proprie vicissitudini raccontandole a un giudice dinanzi al quale è chiamato a testimoniare.
Kermesse per un attore solo eseguita magistralmente da Perinelli che si dimostra grande affabulatore Requiem for Pinocchio, mentre si propone come attualizzazione del romanzo ottocentesco all'immaginario collettivo più prossimo al nostro sentire, impiega la favola collodiana per raccontare la nostra contemporanea precarietà.
L'omaggio letterario, squisitamente teatrale, si fa strumento di un discorso altro (grazie anche ad alcuni innesti da Emporium, poemetto di civile indignazione di Marco Onofrio) dove la ludicità e il sottrarsi al dover essere borghese di Pinocchio cozza contro la precarietà di un presente che ci rende tutti burattini e ci strappa all'umanità della spensieratezza (e del disimpegno) e ci piega in una neo-schiavitù per la quale dobbiamo pure dire grazie.
Rispetto il testo originale nel quale l'impegno e la responsabilità sono le chiavi di volta di un impianto morale e ideologico squisitamente borghese e dall'alto profilo l'attualizzazione dii Perinelli affonda le radici in un anarchismo de-responsabilizzante tutto proteso verso il lato ludico del Pinocchio del paese dei balocchi che, sebbene sviluppato nel segno di un ricordo elegiaco dell'infanzia rubata, fa della critica allo status quo più un ribellione a priori che il seme di una critica che si possa dire davvero politica.
Requiem for Pinocchio
di e con: Simone Perinelli
con un estratto di: “Emporium, poemetto di civile indignazione” di Marco Onofrio
aiuto regia e consulenza artistica: Isabella Rotolo
progetto fotografico: Guido Mencari
regia: Simone Perinelli