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TEATRI DI VETRO VII TERZA GIORNATA

Performance I love you.

Performance I love you.
“Theatre is very simple: in theatre a knife is fake and the blood is ketchup. In performance art a knife is a knife and ketchup is blood1.”

Marina Abramović

 

Not here, not now

Andrea Cosentino sviluppa questo primo studio sulla performance e su una delle sue più quotate e contemporanee teorizzatrici come Marina  Abramović con la dissacrazione clownesca dell'attore comico che, prendendo sul serio le parole provocatorie dell'artista, le mette alla berlina irridendole in nome di un senso comune che quelle parole non capisce e sbeffeggia.
Questa dissacrazione è al contempo la forza e il limite - teorico e teatrale - dello studio col quale Cosentino si avvicina al lavoro di Abramović per farne a suo modo spettacolo e criticarlo.

Prima ancora di raccontarci la sua esperienza al Pac di Milano dove ha seguito l'
ultimo lavoro di Abramović  The Abramović Method Cosentino dà voce, mentre rimane performativamente immobile sul palco dinanzi il pubblico,  al pensiero comune su, ma sarebbe meglio dire contro, l'idea stessa di performance, che non è rappresentazione ma esperienza concreta.
Interpretando il pensiero del pubblico (quello più incolto) dandogli voce con caratterizzazione geografiche dialettali sul limine della parodia pecoreccia da canale televisivo locale Cosentino lascia affiorare il monologo interiore del suo essere attore che si contrappone al pubblico bovino e scettico che, pur non avendo gli strumenti  per capire e apprezzare, esprime un giudizio (a)critico.

L'intento è quello di demitizzare  Abramović e chi la sostiene senza però proporre una critica concreta che vada nello specifico ma entrando a gamba tesa nell'universo estetico di Abramović con la stessa sensibilità di chi critica il sistema tolemaico o l'emancipazione femminile in nome di un presunto sentire comune.

Geniale quando fa la parodia video di alcune performance dell'artista (interpretandola lui stesso) nelle quali, di volta in volta, il cognome Abramovic viene storpiato per assomigliare all'argomento trattato in quel video, manca allo studio un discorso critico all'altezza di quello intrapreso da Abramovic nel suo lavoro di ricerca performativa che Cosentino si illude di trovare nella diffidenza populista che ammannisce per buonsenso con malcelato autocompiacimento e un sottile, ma sempre irricevibile, maschilismo.
Cosentino crede di riuscire a criticare Abramović con il tatto grossolano e iconoclasta del clown riuscendo solo a prenderla in giro perchè le dichiarazioni provocatorie dell'artista avrebbero bisogno della critica radicale del giullare che rende popolari questioni anche sottili e non di immediata comprensione.

Purtroppo Cosentino non riesce in questo studio nemmeno a sfiorare il portato delle questioni sollevate da Abramović  per cui, francamente, viene da chiedersi perchè dovremmo preferire il suo ketchup al sangue dell'artista serba.



1) Il teatro è molto semplice: in teatro un coltello è falso e il sangue è ketchup. Nella performance art il coltello è un coltello e il ketchup è sangue.




Not here, not now

di e con: Andrea Cosentino

  regia: Andrea Virgilio Franceschi

  video: Tommaso Abatescianni

  produzione: Pierfrancesco Pisani

  in collaborazione con: Kilowatt Festival / Litta_Produzioni / associazione
  Olinda / Infinito srl / Teatro Forsennato

  con il sostegno di: Progetto Perdutamente del Teatro di Roma





Muvic plays whit Alice
 
Muvic (Andrea Lepri e Paolo Baldini) approcciano il lungometraggio d'esordio del grande  regista Ceco Jan Svankmajer che nel 1988 rilegge Alice di Lewis Carrol con un gusto gotico personalissimo animando a passo uno bambole, conigli finti, pelli e scheletri di animali,  ri-raccontando le celebri avventure della bambina curiosa depositata nell'immaginario collettivo dalla versione a disegni animati di Disney.
Immaginario che Svankmajer  riscrive in toto a favore di un racconto inquietante che parla direttamente al nostro incosncio.

Muvic ripropone il lungometraggio impiegandolo come puro racconto visivo proiettandolo in lingua originale senza sottotitoli rendendo i dialoghi - incomprensibili al pubblico italiano - una componente della partitura sonora eseguita dal vivo, usando il film  come fosse una pellicola muta, puro racconto per immagini sostenute da una sonorizzazione complessa che ai loop dei tappeti sonori intreccia  la musica dal vivo eseguita tramite il sintetizzatore, il piano elettrico, le chitarre, il basso elettrico i  suoni elettronici e le voci.
Alla manipolazione del suono corrisponde una manipolazione delle immagini proiettate che vengono  moltiplicate tramite la ripetizione di alcune brevi sequenze in uno scambio dinamico e intelligente tra musica e immagine in movimento dove nessuna delle due è esornativa dell'altra ma, messe sullo stesso piano performativo (tutto viene eseguito all'impronta) intraprendono un dialogo costante sostenuto dalla sensibilità per il ritmo musicale dei due musicisti ravennati e quello del passo uno delle animazioni di Svankmajerin costituendo un connubio perfetto.



Muvic plays whit Alice
sintetizzatore, piano elettrico, elettronica, voci: Andrea Lepri
basso elettrico, chitarre, elettronica: Paolo Baldini


 
Terzo e conclusivo episodio della Trilogia dell’inesistente esercizi di condizione umana (gli episodi precedenti sono Sembra ma non soffro del 2010, presentato a Teatri di Vetro V, del quale abbiamo avuto già modo di parlare) e Tragedia tutta esteriore del 2008, Spettacolo vincitore de Loro del Reno Teatri di Vita, Bologna) Grattati e vinci (2011) di e con i riminesi Roberto Scappin e Paola Vannoni aggiunge un tassello al loro particolare teatro di parola che, paradossalmente, è il meno di parola che ci sia.
La parola del loro teatro non costituisce infatti una prosa che si fa tramite di una rappresentazione per evocare sulla scena un altrove sul quale ci vuole far riflettere.
La parola stessa diventa performance, qui e ora, e centro del discorso critico che i due autori interpreti mettono in atto nel momento stesso del suo formarsi.
Una parola che è esempio di una forma ideologica che i due autori criticano nel momento stesso in cui la impiegano e le danno vita, grazie a una recitazione antinaturalistica che la sgancia da ogni effetto rappresentativo, presentandola come pura forma del pensiero, quello autoindulgente ipocrita e post-borghese della nostra contemporaneità, che i due autori interpeti scolpiscono col cesello sottile di una ironia caustica e brillante tramite un testo che sa cogliere anche dall'estemporaneità del luogo in cui viene messo in scena elementi di stimolo critico (come gli accenni allo spettacolo di Cosentino). Forse penalizzato dall'ora tarda di programmazione (le 23) Grattati e vinci che avrebbe meritato non solamente il pubblico nottambulo ma anche quello più presenzialista della prima serata ci propone una lettura sociale che non scade mai in sociologismi da primo anno di università e che vede nella solitudine nel sesso nella religione e nella maturità e nella vecchiaia pensionistica le coordinate entro cui l'umanità contemporanea annaspa e dissimula la propria vacuità esistenziale aggrappandosi a un narcisismo che dice io in realtà dicendolo solamente per nascondere la paura della solitudine e del fallimento delle relazioni interpersonali.



Grattati e vinci


3° episodio della Trilogia dell’inesistente

esercizi di condizione umana

di e con: Roberto Scappin e Paola Vannoni

produzione: quotidiana.com

con il contributo di: Provincia di Rimini
in collaborazione con: l’Arboreto - Teatro Dimora, Mondaino
Visto il 25-04-2013
al Palladium di Roma (RM)