Il Titanic naufraga al Teatro Litta

Il Titanic naufraga al Teatro Litta

Patrick Kermann, drammaturgo morto suicida nel 2000, diceva che il teatro è l’arte di far parlare i nostri morti. Nel monologo da lui firmato e portato in scena da Metthieu Pastore per la regia di Renato Sarti il morto porta il nome di Giovanni Pastore, ventenne friulano finito in fondo al mare il 14 aprile 1912 insieme al transatlantico Titanic e a 3.177 cucchiaini e 2.100 anime. I numeri sono importanti, bisogna fare due calcoli per intuire l'entità di questa tragedia, ci dice Giovanni (interpretato dal giovane e bravo Methieew Pastore). Lui aveva avuto la fortuna di salire sul transatlantico inaffondabile dopo aver lasciato le campagne, le pecore, quella fontana nella piazza del paese dove la nonna era affogata senza mutande, l'amata e tenera Cecilia, la mamma che si angosciava persino per una pozzanghera e figurarsi per l'oceano... Se solo avesse saputo che il figlio era in mezzo al mare a lavare cucchiaini, ma non sapeva. Giovanni è uno dei tanti morti la cui identità è stata inghiottita dalla storia perché nessuno sapeva, nemmeno la mamma. E' un numero Giovanni, ammesso che qualcuno si sia ricordato di contabilizzarlo nella lista deirt morti della nave inaffondabile che colò a picco durante la sua prima traversata. Un viaggio solo come quello del Nostro e di tanti altri insieme a lui. Sul palco va in scena un rito della morte dove cucchiaini, vivi, defunti, fantasmi in cerca di rispetto e riscatto affondano in eterno nella pace degli abissi marini, tra alghe e pesci multicolore.

L'interpretazione di Matthieu Pastore che ha curato anche la traduzione del testo è poetica e ricca di sfumature dosando perfettamente disperazione e speranza, responsabilità ed urgenza di raccontare, di dare voce a chi non ne ha mai avuta. Il lavoro di Renato Sarti riesce a trasfigurare gli elementi scenici da semplici oggetti a veri e propri idoli ricordandoci ancora una volta come troppo spesso la nostra società capitalistica tenda ad ignorare e rimuovere la memoria storica dei suoi morti, specie dei più deboli