Lirica
TOSCA

Crepacuore Tosca

Crepacuore Tosca

Una figura di donna ingannata da tutti, persino dal suo Mario il quale, sul finale, comprende con chiarezza come la perfidia di Scarpia non avrebbe mai potuto concepire l’idea di concedere la grazia a un ‘volterriano' e, pur disperato, dissimula un sorriso credulo a beneficio dell’amata così da non vederla soffrire, una donna innamorata che non regge il colpo e muore di crepacuore proprio su quegli spalti di Castel Sant’Angelo che, normalmente, la vedrebbero suicida: ecco i tratti essenziali di Tosca, così come ci vengono proposti da Daniele Abbado in questo allestimento del Hyogo Performing Arts Center di Nishinomiya, realizzato in coproduzione con il Regio di Torino e il Comunale di Bologna.

Le scene pensate da Luigi Perego prevedono elementi architettonici dalle linee essenziali; su tutto domina il colore bianco, accentuato dall’uso frequente di luci fredde volute da Valerio Alfieri, quasi a contrastare con un’immagine di candore e di rigore formale i tormenti, le passioni sfrenate e i delitti che avvengono sulla scena. Al centro troneggia una piattaforma ovoidale, su cui si svolge gran parte dell’azione, circondata da pilastri scanalati di reminiscenza tardo rinascimentale o barocca che, disposti in modo differente, ricreano l’ambientazione della chiesa, del palazzo e, da ultimo, fungono da cornice anche per gli spalti del castello. A corredo del tutto pochi altri elementi: un’acquasantiera sormontata dall’immagine della Vergine, una cancellata che immette nella Cappella degli Attavanti, il soppalco del pittore per il primo atto; una tavola imbandita e uno specchio di fondo per il secondo; un enorme angelo di bronzo per il terzo.

La direzione di Renato Palumbo offre una lettura tutto sommato tradizionale della partitura, nella salvaguardia però di una cura, attenta a porre in rilievo alcune finezze armoniche, che rende l’interpretazione più che apprezzabile. Il suono orchestrale appare a tratti opulento e maestoso, con una sua eleganza di fondo.

Maria Josè Siri, nel ruolo del titolo, tratteggia una Tosca dal carattere istintivo e passionale la quale, nel procedere degli eventi, acquista suo malgrado quella forza d’animo che la porta alla violenza, una donna che finisce anche, però, per non reggere a tale profluvio emotivo così da morire di crepacuore di fronte al cadavere dell’amato; la voce  svetta in acuto senza forzature di sorta, la tecnica risulta impeccabile e la recitazione curata in ogni dettaglio, tanto da regalare, nel secondo e terzo atto, momenti di grande intensità interpretativa. Roberto Aronica è un Cavaradossi pieno di slancio, dotato di uno strumento solido e potente che riempie la sala, l’emissione talvolta potrebbe essere maggiormente limata e rifinita, ma l’esito complessivo risulta comunque più che soddisfacente sotto tutti i punti di vista. Carlos Alvarez è uno Scarpia la cui crudeltà non si  manifesta con tratti viscidi o untuosi, bensì attraverso una diabolica sicumera che gli conferisce un’aria forse ancor più perversa; la linea di canto è pulita, il timbro gradevole, naturali la gestualità e l’interpretazione del personaggio. Eccellente e senza eccessi macchiettistici il Sagrestano di Roberto Abbondanza. Buoni tutti i comprimari: l’Angelotti di Gabriele Sagona, lo Spoletta di Luca Casalin, lo Sciarrone di Nicolò Ceriani, il Carceriere di Giuseppe Capoferri e il Pastorello di Fiammetta Piovano. Al loro fianco hanno dato ottima prova di sé sia il coro del Regio, sia quello di voci bianche del Conservatorio Verdi, preparati entrambi da Claudio Fenoglio.

Visto il 21-02-2016
al Regio di Torino (TO)