Lirica
TOSCA

L'UNIVERSALITÁ DEL POTENTE BINOMIO AMORE-MORTE

L'UNIVERSALITÁ DEL POTENTE BINOMIO AMORE-MORTE

Tosca può essere considerata, a ragione, l’opera più drammatica fra quelle composte dal maestro toscano il quale, mettendo in scena l’eterno binomio eros/thanatos spinto qui fino al massimo grado, finisce per modellare dei personaggi-simbolo delle passioni umane più sconvolgenti i quali trascendono, con il loro operato, l’epoca storica in cui si trovano ad agire per diventare così paradigmi universali.

L’intelligente scelta registica di Elena Barbalich vuole sottolineare proprio questo aspetto ed elimina dalla scena quegli spazi troppo connotati figurativamente che legano la vicenda alla Roma papalina, pur rimanendo tutto sommato nel solco di una rassicurante tradizione, rispettosa fin nei minimi dettagli dei dettami del libretto. Le scenografie di Tommaso Lagattola sono semplici, ma mai banali, si basano su un felicissimo gioco di luci e proiezioni, di pannelli neri che si aprono e chiudono ricreando le varie situazioni utili allo svolgimento della narrazione, di tableaux vivants che appaiono e poi subito scompaiono. Decisivo è poi l’aspetto di soggettività di una vicenda vissuta, percepita e talvolta persino ingigantita o alterata dalla sensibilità dei vari personaggi. Il linguaggio della regia qui si fa simbolico: la tela che rappresenta la Maddalena-Attavanti è bianca, Floria Tosca vi vede però tutto ciò che la sua gelosia vuole immaginare, la fucilazione è vissuta quasi come un sogno dalla protagonista. Sullo sfondo fa capolino un cielo nuvoloso sempre cangiante che ricorda i dipinti di Turner e vuole simboleggiare la burrasca delle passioni.

A fronte di un allestimento davvero azzeccato sotto tutti i punti di vista, il cast è parso invece piuttosto debole. Nel ruolo del titolo una Mirjam Tola di ottima presenza, ma dall’acuto faticoso e dall’emissione costantemente forzata (al fine forse di scurire la voce) che l’ha portata sul finire della rappresentazione a vacillare un po’ anche sul piano dell’intonazione. Inizialmente più promettente il Mario Cavaradossi di Rubens Pelizzari, dotato di per sé di uno strumento dal timbro piacevole e dal volume considerevole, forse però un po’ forzato nell’emissione, tanto che la palese stanchezza finale ha portato il tenore a cantare un terz’atto faticoso con, anche in questo caso, alcuni evidenti problemi di intonazione. Sebastian Catana è stato uno Scarpia efficacemente sadico dal punto di vista attoriale, ma un po’ sbiancato e a tratti privo di volume dal punto di vista vocale. Una nota di merito va data, invece, a Paolo Maria Orecchia che ha vestito ottimamente i panni del sagrestano esibendo una voce calda, potente, piena di colori e perfettamente proiettata.

Attenta e ricca di vigore la direzione dell’Orchestra dei Pomeriggi Musicali del maestro Giampaolo Bisanti che ha ben sottolineato i chiaroscuri della partitura ricercando un suono rotondo e fluido, mai di maniera, forse talvolta un po’ troppo voluminoso per la portata delle voci sul palcoscenico. Buona la prova del Coro del Circuito Lirico Lombardo, preparato dal maestro Antonio Greco, e quella del Coro di voci bianche “Claudio Monteverdi” di Cremona, preparato invece da Hector Raùl Dominguez.

Visto il 17-10-2012
al Ponchielli di Cremona (CR)