Giunto alla sua seconda edizione, il San Carlo Opera Festival si conferma una formula vincente. I titoli di grande richiamo, la programmazione serrata e i prezzi contenuti attirano nella splendida cornice del massimo partenopeo un pubblico numeroso e nuovo, nel quale si contano non poche presenze straniere e, finalmente, molti giovani. Ed è davvero bello vedere la vasta platea tutta piena, percorsa da un’insolita vivacità e animata dall’emozione di chi scopre o riscopre la magia dell’opera. Nella stagione estiva del San Carlo, la routine un po’ impolverata cede il passo all’inedito entusiasmo di chi vive la serata a teatro come occasione e come festa.
La rappresentazione di Tosca, primo titolo della rassegna, si svolge dunque in un’atmosfera calda e partecipe. Per l’allestimento sancarliano, Jean Kalman (regia e luci), Raffaele Di Florio (scene) e Giusi Giustino (costumi) scelgono di trasportare l’azione dall’anno 1800 fissato da Sardou (e poi da Giacosa e Illica) nel pieno della Seconda Guerra Mondiale. Lo sfondo è sempre Roma: una Roma oscura e livida, avvolta dalle spire del regime nazifascista, offuscata dal sospetto, dalla delazione e dalla persecuzione ma capace, nonostante tutto, di resistere in virtù della sua insopprimibile bellezza. Il parallelo istituito tra l’ambientazione originaria e la nuova collocazione libera il nucleo metastorico della vicenda narrata, vale a dire il contrasto perenne tra libertà e oppressione, tra valori ideali dell’arte e cieca ottusità del potere, tra amore autentico e sordida lussuria.
Il contesto novecentesco incide poco o nulla sull’atto primo, nel quale la Chiesa di Sant’Andrea della Valle si presenta come groviglio di impalcature in penombra (non irresistibile e anzi pleonastica risulta la proiezione sul fondo di fotografie che raffigurano l’interno della basilica capitolina). Nel corpo centrale dell’opera, invece, la camera di Scarpia a Palazzo Farnese diventa un comando militare di gelido marmo, popolato di simboli sinistri e di presenze minacciose. Nel finale, la piattaforma di Castel Sant’Angelo è uno spazio indistinto, scandito da un fondale chiaro che si alza lentamente nell’oscurità della notte. Niente parapetti, niente salti nel vuoto. Floria Tosca si congeda dal pubblico e dalla vita in una postura di forte valore simbolico: immobile come una statua al centro della scena, ella ripete, congelandolo, il gesto omicida con il quale ha eliminato Scarpia alla fine del secondo atto.
A dare voce e gesto a Tosca è Fiorenza Cedolins, capace di restituire con duttile efficacia le diverse sfumature del complesso personaggio. Una prova generosa offre Stefano La Colla nei panni di Cavaradossi. Molto apprezzato lo Scarpia di Sergey Murzaev, abile nell’evidenziare i tratti sordidi del persecutore. Gianvito Ribba è convincente nei panni di Cesare Angelotti. Completano il cast Donato Di Gioia (sagrestano), Francesco Pittari (Spoletta), Sergio Valentino (Sciarrone), Giuseppe Scarico (carceriere) e Giuseppina Acierno (pastore). Attenta ma non particolarmente incisiva la direzione di Jordi Bernàcer, che appare un po’ dispersivo nell’attraversare le tinte della partitura pucciniana. Nell’insieme lo spettacolo è stato molto apprezzato dal folto pubblico, che ha applaudito a lungo e con energia.