L’ambientazione in Tosca, la Roma papalina dei primi dell’Ottocento, è un elemento basilare della vicenda e i suoi luoghi più rappresentativi sono intimamente connessi all’opera e contribuiscono, nella loro riconoscibilità, a rendere la verosimiglianza di un melodramma in cui s’intrecciano accadimenti storici e finzione. Non a caso proprio a Roma avvenne il debutto di Tosca, al teatro Costanzi, il 14 gennaio 1900, in uno spettacolo organizzato da Tito Ricordi che affidò la messinscena, suscitando qualche malumore negli ambienti artistici romani che mal sopportavano le ingerenze della casa musicale milanese, allo scenografo e pittore tedesco Adolf Hohenstein. E proprio sulla base dei bozzetti originali di Hoehenstein il teatro dell’Opera di Roma ha affidato a Ettore Rondelli l’incarico di realizzare nuove scenografie dipinte a mano che risultano di particolare interesse per il pubblico contemporaneo che si può confrontare con le intenzioni originarie dell’autore e scoprire come era “la prima Tosca”.
In sintonia con un impianto scenico tradizionale, la regia di Renzo Giaccheri è didascalica e fedele al libretto, ma, oltre ad assecondare le esigenze del canto, è adatta ad avvicinare al mondo dell’opera anche il neofita che ha una fruizione comprensibile e immediata di ciò che avviene sulla scena.
Sant’Andrea della Valle è vista con la navata di sbieco illuminata da un fascio di luce mista a pulviscolo, il sipario nero taglia l’inquadratura nascondendo il soffitto e mettendo in primo piano le imponenti colonne scanalate del transetto, l’impalcatura con il quadro coperto dalla tela a sinistra, la statua della Madonna e la cappella a destra, tutto come da libretto. Fumi d’incenso contribuiscono alla tensione drammatica del Te Deum, ma risultano piuttosto inutili le controscene delle coppie dei rustici che si aggirano per la chiesa con stupore naif, espressione di un bozzettismo di maniera.
Di gusto ottocentesco l’appartamento di Scarpia a Palazzo Farnese, rivestito di damaschi rossi, con mobili imbottiti e arredi importanti, dove una stanza dentro l’altra accentua la profondità prospettica e crea una suggestiva zona d’ombra sul fondo. Bello il fermo immagine di Tosca che, dopo aver ucciso Scarpia, indugia per un istante nel varco della porta che la inquadra come fosse un dipinto dell’epoca e il sontuoso abito di velluto rosso stile impero fiammeggia nel buio sul pianissimo orchestrale conclusivo.
Il terzo atto propone una veduta “classica” della piattaforma di Castel Sant’Angelo con San Pietro sullo sfondo e un cielo ceruleo sempre più livido nel chiarore mattutino, dove si aggira con inquietudine Tosca prima di gettarsi nel vuoto all’indietro.
A Genova si sono alternati tre cast diversi e, accanto alla coppia di genovesi illustri Dessi- Armiliato, che intrattengono con i ruoli di Tosca e Cavaradossi un rapporto continuativo e privilegiato, è stato interessante il confronto con giovani cantanti.
Sentite ovazioni per Maria José Siri, una Tosca convincente per la voce omogenea e sicura, dal registro acuto facile e luminoso. Trattandosi di un debutto nel ruolo è comprensibile una certa cautela interpretativa, ma si apprezzano la freschezza e lo slancio di un’interprete non manierata.
Anche Lorenzo Decaro è un Cavaradossi giovane e credibile, dalla voce scura e virile che si addice al pittore idealista e appassionato. L’intenzione di sfumare il personaggio c’è, ma tecnica e passaggi sono da perfezionare e risultano meglio riusciti i momenti affettuosi e di ripiegamento lirico piuttosto che quelli più spinti, dove la voce appare forzata . Anche per lui grande successo di pubblico, opportunamente ripagato da un sentito bis di “E lucean le stelle” .
Con voce solida e proprietà d’accento Alberto Mastromarino propone un Barone Scarpia “da tradizione”, sgradevole e bieco, che traduce quell’immagine di Roma capitale di una cristianità controversa; drammaticamente efficace e ben cantato il “Te Deum”.
Nei ruoli secondari si distingue per precisione il Sagrestano di Paolo Maria Orecchia, divertente e mai sopra le righe. Elegante e subdolo lo Spoletta di Mario Bolognesi, da perfezionare l’Angelotti di Nicolay Bikov, meglio Angelo Nardinocchi nel ruolo di Sciarrone. Completano il cast un carceriere (Loris Purpura) e il pastorello di Luca Arrigo.
La direzione di Marco Boemi risulta equilibrata nel rapporto voci e orchestra e coglie la ricchezza timbrica dello strumentale, ma l’indulgere in tempi piuttosto lenti nell’accompagnare il canto non sempre ne favorisce l’intonazione.
Complessivamente buona la prova del Coro diretto da Franco Sebastiani, preciso il Coro di Voci Bianche sotto la guida di Gino Tanasini.
Il titolo popolare ha riempito il teatro per tutte le recite, attirando un pubblico più giovane ed eterogeneo del consueto; pronti e calorosi gli applausi.