Venezia, teatro La Fenice, “Tosca” di Giacomo Puccini
TOSCA A TEATRO
La Fenice ha scelto di celebrare l'anno pucciniano in grande stile: inaugurazione di stagione con il nuovo allestimento de “La rondine”, poi questa affascinante Tosca prodotta dalla Staatsoper di Amburgo. Robert Carsen ambienta la vicenda al giorno d'oggi in un teatro, situazione che, se appare forzata in alcuni punti del primo atto, tuttavia convince per la teatralità e l'eleganza del risultato. Il teatro ricorre come motivo dominante, è il luogo dove canta Tosca (la cui effige campeggia nei programmi di sala che imperversano sulla scena) e dove agiscono Cavaradossi e Scarpia. Carsen è profondamente uomo di teatro e le sue intuizioni sono sempre interessanti e folgoranti. In questo caso la vicenda è poco (anzi per nulla) politica e più personale, riguardando da vicino i sentimenti e gli equilibri affettivi tra i protagonisti, i cui caratteri sono analizzati con particolare attenzione.
Il primo atto è in una platea, fra file ordinate di poltrone rosse, sullo sfondo il classico sipario di velluto in un'insolita prospettiva angolata. Cavaradossi è intento a dipingere su una parete a sinistra, dove si apre la porta che si suppone conduca alla cappella Angelotti; due colonne su alto basamento separano la sala dal palco. Il sagrestano è il custode del teatro e il popolo gli spettatori. Il finale è barocco, quasi almodovariano: il pubblico entra e si sistema nelle poltrone; all'aprirsi del sipario angeli e lampadari dorati, dal basso Tosca sorge come una Madonna siciliana in una macchina scenica fastosa.
Il secondo atto è nel retropalco, dove si trova la scrivania barocca e sontuosa di Scarpia sullo sfondo di due pareti che fanno un angolo. Tosca viene introdotta al cospetto di Scarpia alla fine dello spettacolo, elegantissima in un abito da sera lungo e scollato. Il confronto tra i tre è serrato sia nei tempi che nella gestualità. Per la rabbia, nel confronto con Mario, squarcia con un coltello una tela appoggiata al muro. Poi il ritmo si distende; Tosca canta “Vissi d'arte” in proscenio con la cornice del boccascena illuminata, Scarpia osserva da dietro con sguardo bramoso e mefistofelico, appoggiato al muro, come il cacciatore che attende la preda. La scena della seduzione è particolarmente efficace con Tosca sensuale nello spogliarsi di guanti e abito, abito che rimane a terra come un guscio vuoto (è poi velocissima nel rivestirsi). Seduce Scarpia sopra una tela rovesciata a terra, poi lo accoltella e lascia sprezzante come “firma” il programma di sala del suo spettacolo sopra il cadavere di Scarpia, insieme a una rosa dal mazzo di un ammiratore.
Il terzo atto (non c'è intervallo) è ancora sul palcoscenico: il muro è di mattoni e Cavaradossi non si capacita che non ci sia più l'affresco, così col gessetto bianco traccia un occhio, quell'occhio che Tosca voleva nero. Teatrale è il manipolo di soldati, in uniforme antica. Mario viene fucilato non contro il muro (troppo scontato), ma dando le spalle alla platea, col plotone di esecuzione che spara verso gli spettatori. Tosca muore buttandosi dal (finto) palcoscenico, quando comprende che la fucilazione simulata è invece reale.
Tiziana Caruso è una Tosca-diva, consapevole della sua bellezza e popolarità, a cui chiedono autografi e che si allontana con occhiali scuri per proteggersi dagli ammiratori. La Caruso ha bella e particolare voce, brunita e vellutata, aspra nei toni della gelosia, sempre controllata e coi registri completi. Invece la personalità interpretativa non è alla pari purtroppo con le cospicue doti vocali e il soprano appare impacciato nelle movenze e ciò pesa maggiormente in questa regia molto originale. Al contrario lo Scarpia di Giuseppe Altomare è affascinante nell'aspetto e convincente per capacità attoriali, meno vocalmente, poco luminoso e senza sfumature né morbidezza. Ottimo il Cavaradossi di Fabio Armiliato, voce morbida ed espressiva, i centri sono sontuosi, i gravi evidenti, gli acuti pieni (a tratti rivelano qualche durezza). Ma la figura è credibilissima nella misurata eppure ineccepibile recitazione, senza alcuna gigioneria. Con loro Alessandro Spina (Angelotti), Roberto Abbondanza (sagrestano), Iorio Zennaro (Spoletta), Franco Boscolo (Sciarrone), Giuseppe Nicodemo (un carceriere) e il bimbo Marco Schwaiger (un pastore).
Ottima la direzione di Daniele Callegari, atteso allo Sferisterio di Macerata in luglio sempre con Tosca e con la Caruso protagonista. Callegari trae suoni sontuosi, intensi e levigati dall'Orchestra della Fenice con momenti di raffinata eleganza alternati a forti maestosi ma comunque morbidi, pieni, monumentali e teatrali come la scena. È bravo nel creare una perfetta corrispondenza tra buca e palco, in una regia intensa e veloce, molto giocata sulla attorialità.
Teatro esaurito, moltissimi gli stranieri, elegantissimi nonostante il matinée. Applausi, nelle due arie famose dei protagonisti (ma nessuna richiesta di bis) e alla fine. Nessun disagio per l'ambientazione.
Visto a Venezia, teatro La Fenice, il 24 maggio 2008
FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al
La Fenice
di Venezia
(VE)