Prosa
TRADIMENTI

La memoria degli inganni

La memoria degli inganni
Harold Pinter sapeva bene di cosa parlava: il suo biografo Michael Billington spiegò che Tradimenti (‘Betrayal’, 1977) narra della relazione che per sette anni Pinter condusse con la giornalista televisiva Joan Bakewell. Ma naturalmente andò molto oltre. In Betrayal, infatti, non si parla del tradimento in sé, quanto piuttosto della nostra condizione di vita quotidiana, che ci vede sospesi nel labirinto dell'accettazione del suo rischio, e di come sia difficile per l'anima trattare questo materiale così doloroso. In modo forse più universale e meno anglosassone di quanto si pensi, i tre (che formano il classico triangolo moglie-marito-suo migliore amico/amante di lei) agiscono per anni ed anni dando della vita il suo spettacolo a prima vista più mortificante, ed insieme probabilmente più comune: una infinita sequenza di imbarazzi, risentimenti, piccole e grandi ferite, atti mancati e parole non dette che formano un silenzio a volte assordante, il cui rumore scuote tutti loro ma non produce mai nessun effetto riconoscibile che sfoci in umano pathos. Tutti carnefici, e tutte vittime. La concatenazione di questa visione Pinter la rende in maniera straordinaria, con un effetto a ritroso di nove scene in cui si parte dall’ultimo quadro per rincorrere nella memoria collettiva i momenti salienti in cui si sono feriti, e secondo loro forse anche amati, come se la memoria fosse una sorta di struttura angolare con elementi ad incastro per successive sovrapposizioni… Il risultato è che lo spettatore gode di un punto di vista inconsueto rispetto agli stessi personaggi, perché sa già cosa sarà accaduto nel futuro, e perciò può cogliere i gesti e le espressioni anche minime ed interpretarli anche (e soprattutto?) con le sue aspettative personali. La regia di Andrea Renzi, molto fedele al testo, ha accentuato il tono inglese di eleganza, anche con una scenografia ed un uso delle luci essenziale ma di grande effetto, ed i tre protagonisti restano molto fermi nella loro esposizione del concetto, sempre così a metà strada fra l’amarezza ed il contenimento, con alcune punte di humour assolutamente delizioso ed estremo a firmare questo stato quotidiano che somiglia alla battuta dell’amico/amante Jerry nell’ultima scena, quando nella corte serrata che le riserva, si presenta ad Emma come “in stato catatonico. Sai cosa significa? Il Principe del regno del non-essere”.
Visto il 05-03-2010
al Nuovo di Napoli (NA)