Il Kyōgen è una forma espressiva teatrale presente nella tradizione giapponese fin dal XIV secolo. Pochi personaggi, storie semplici, satiriche, spesso comiche: il Kyōgen era inizialmente un intermezzo nelle rappresentazioni del più celebre Teatro Nō.
La compagnia Mansaku-no-Kyogen, fondata da una delle due famiglie di artisti che mantengono viva quest’arte, ha portato in scena al Piccolo Teatro di Milano tre delle numerosissime storie tradizionali.
Tre brevi pièce comiche, basate sul linguaggio, su una trovata ridicola, filo conduttore dell’intera scena. Un palco spoglio che, nel rispetto della costruzione spaziale tradizionale, non prevede o permette distrazioni. Una scena quadrata, di legno chiaro, sul cui sfondo è disegnato un albero; una passerella per l’ingresso e l’uscita dei personaggi. Gli attori sono gli ingranaggi della macchina teatrale, si muovono come su una scacchiera, geometricamente (solo per fare un esempio, una delle figure in scena è preposta solo ed esclusivamente ai pochi spostamenti degli oggetti di scena: una pedina nella precisione del gioco, dai movimenti che paiono calcolati con esattezza millimetrica).
Gesti precisi, posizioni rigorose, movimenti codificati rendono questo spettacolo un capolavoro di perfezione formale. Toni che alternano farsa e poesia, quotidianità e sogno; una sonorità che – almeno per tutti coloro nel pubblico che, come me, non conoscono la lingua giapponese – crea un ritmo particolare e curioso: tutto questo e i ricchi, appariscenti e coloratissimi costumi, rendono “Traditional Kyogen” uno spettacolo sospeso in una dimensione altra, lontana da ciò che vediamo e conosciamo abitualmente. Le storie, anche se scevre da qualsiasi ammiccamento o malizia, sono avvicinabili ad alcune vicende delle commedie greche o, volendo, ad alcune novelle di Boccaccio: servi burloni, fraintendimenti ed equivoci, scherzi e punizioni. È la maniera di rappresentarle che ne cambia completamente il sapore. Un gusto a tratti talmente lontano da tutto ciò che fa parte della cultura occidentale da sembrare inavvicinabile e incomprensibile.
Un tipo di rappresentazione assolutamente diverso, e per questo prezioso e di grande interesse, che – incredibilmente – tocca il pubblico soprattutto nei momenti di ilarità. Uno spettacolo che in fin dei conti, oltre al piacere estetico e all’indiscutibile interesse socio-culturale e antropologico, fa anche – stranamente – riflettere su quanto alcune cose siano del tutto trasversali, come una risata.
Visto il
18-09-2009
al
Piccolo Teatro - Studio Melato
di Milano
(MI)