Sicuramente la coreografia più innovativa, più applaudita e più emotivamente coinvolgente delle nove serate di repliche di "Trittico Novecento", in scena al Teatro alla Scala dal 28 maggio al 12 giugno (la prima del 27 è saltata per lo sciopero contro il decreto Bondi) è stata "Immemoria", creata da Francesco Ventriglia, ex danzatore scaligero e da anni giovane coreografo italiano ormai apprezzato a livello internazionale, in partenza per Ginevra dove è stato appena invitato per una nuova creazione che debutterà a ottobre.
Il sipario si alza su una grande muraglia fatta di vecchi vestiti compressi uno sull'altro, oggetti, valigie, mentre dietro al muro si levano fumi sospetti, presagio di quei forni crematori di cui la storia ci ha raccontato. Dall'alto cominciano a cadere capelli tagliati, due bambini, un maschietto e una femminuccia, avanzano guardandosi intono, lei tenta di giocare disegnando con le dita a terra, lui la vuole allontanare come se avesse il presagio che qualcosa di terribile sta per accadere. Uomini e donne compaiono in scena correndo, si cercano e si respingono, si abbracciano e si allontano, vagano in uno spazio senza tempo, nei loro occhi la paura, i loro corpi sono scossi dal tremore e dalla paura di non sapere quale sarà il loro destino. Su di loro aleggia la memoria della “Shoah” che viene però concepita come una impronta della memoria storica di molti altri inferni che l’umanità ha dovuto subire e continuerà a subire.
L’orrore non è solo nel passato, ma anche nel presente e i muri che il coreografo Francesco Ventriglia costruisce sulla scena sono le barriere che le società di ieri e di oggi continuano a innalzare nel segno dell’emarginazione razziale contro chi ritiene diverso. Il suo messaggio è quello di una danza che possa avere finalmente ancora un ruolo civile e politico e dunque che possa esser anche memoria di una conoscenza che tutti, grandi e piccoli, devono continuare ad avere, una danza che significa la libertà di creare ponti e non barriere.
I quaranta danzatori del Corpo di Ballo della Scala e un gruppo di giovani allievi dodicenni della Scuola di Ballo, danno vita ad una coreografia intensa ed emozionante in cui ogni gesto e ogni movimento sono dettati da una motivazione interiore, non c’è nulla di virtuosistico nei movimenti scelti da Ventriglia e dalla sua assistente Maria Pia di Mauro, che creano una danza pura, espressione di sentimenti, un balletto corale, un canto di dolore nel segno della speranza affidata alle nuove generazioni.
In apertura di serata, gli spettatori hanno potuto apprezzare le linee e le geometrie che George Balanchine aveva creato in "Balletto Imperiale", sul concerto per pianoforte e orchestra n.2 per i suoi ballerini del New York City Ballet e che il Corpo di Ballo della Scala ha saputo restituire con grande perfezione grazie anche all'interpretazione impeccabile dei due primi ballerini Alina Cojocaru e Massimo Murru, mentre Antonella Albano, Riccardo Massimi e Marco Agostino hanno danzato il celebre passo a tre.
Di più difficile lettura è apparso il nuovo allestimento de "Il figliol prodigo", su musiche di Prokoviev e la ripresa coreografica di Boris Kochno. La chiave espressionista voluta dallo stesso Balanchine che debuttò con questo balletto nel 1929 per quella che sarebbe stata l'ultima stagione parigina dei Ballets Russes pochi mesi prima della morte a Venezia di Diagilev, mentre ai tempi dell'allestimento ben si addiceva al clima di dissoluzione che stava vivendo in quel momento la celebre compagnia, oggi appare un po' datato e molto lontano dal gusto contemporaneo come anche la parabola evangelica di cui si narra. Nonostante ciò i due interpreti principali, ovvero Antonino Sutera nel ruolo del figlio e Emilie Fouilloux in quello della Sirena, hanno saputo con la loro bravura e qualità tecniche, dare al balletto quella connotazione di forti tinte drammatiche, di esotismo e sensualità che aveva voluto in origine lo stesso Balanchine.