La presenza di un parterre di celebrità come quello che pare abbia onorato la causa di Alfonso Signorini alla prima della Turandot che ha inaugurato il Festival pucciniano di Torre del Lago, probabilmente è fra le concause principali di una scelta che si sta facendo forse un po' troppo spesso, ovvero rinunciare ad una tradizionale e professionale regia lirica in favore di personaggi neofiti nella materia. Dopo Vanzina, Ecco Signorini.
Turandot glamour
Dopo un largo utilizzo dei fuori scena prima dello spettacolo, fra soldati sadomaso e sacerdoti che vagano per il pubblico con aria assorta se non contrita, appare una scena che il più delle volte sarà un misto contrastante di stili fra tradizionalismi da lanterne rosse e sbrilluccichìi arditi, se non ostentati (vedi le pietre colorate sul vestito povero e lacerato di Liù, oppure Timur imprigionato in una sorta di nuvola bianca o ancora Turandot nel lungo strascico piumato...); un ordito nel quale i movimenti della principessa cinese spesso trovano anche posizioni e tempi arditi, come quando rinuncia alla sua ieraticità e si fa personaggio fra i personaggi quasi mescolandosi alla folla, o quando la sua figura si invera durante l'aria Là sui monti dell'est di Calaf, creandogli probabilmente un rapporto difficile con Cupido, per il colpo di fulmine asincrono. Trasmette emozioni davvero troppo contrastanti, inoltre, un finale in cui il cadavere di Liù resta fermo in terra per un tempo lunghissimo accanto a Timur, mentre i sentimenti intorno si capovolgono al punto di essere fatta oggetto di tardivo omaggio da parte di Turandot, dando vita ad un troppo contrastante contatto fra la carnefice e la malcapitata. Per non parlare di Ping, Pong e Pang che giocano a ping pong... con la testa decapitata di un nobile sconfitto.
Bis, bis!
L'alto senso di drammaticità collettiva si esalta forse fra i cori e le masse statiche, ma il senso resta quello di un grande affresco circense, con una orchestra molto buona ma guidata come una macchina da corsa, senza dinamiche ed aggredendo la partitura in modo da farne dimenticare la grazia e l'eleganza; oltre alla velocità d'esecuzione che metteva in difficoltà i cantanti, il maestro Jan Latham Koenig usa in maniera sgradevole e distaccata le trombe, ed il coro seppur bravo risulta inoltre slegato.
La schiava Liù (Angela da Lucia) si presenta con voce flebile, mentre i due protagonisti principali sono i migliori ricordi: Calaf (Amadi Lagha) e Turandot (Irina Rindzuner) offrono grandi performance, con la sorpresa aggiunta (quante volte accade?) di un bis accolto e entusiasticamente concesso dal direttore, a scena successiva già aperta con tutti in attesa sul palco e nonostante le accennate rimostranze del primo violino: a Nessun dorma è concesso questo ed altro.