Lirica
TURANDOT

LA TURANDOT DI LIU'

LA TURANDOT DI LIU'

Il soprano ligure Mariella Devia debutta nel ruolo di Liù, caratterizzando il celebre spettacolo di Giuliano Montaldo che torna in scena a vent’anni dal debutto e dopo due riprese, l’ultima (2003) col finale di Luciano Berio mentre nel presente con quello di Alfano.
La scena unica di Luciano Ricceri è articolata su scale e colonne, balaustre e archi che richiamano il lontano Oriente, tutto bene illuminato da Luciano Novelli. Una scala a più rampe conduce verso un arco; un immaginario soffitto è sostenuto da poderose colonne cilindriche con bassorilievi a motivi di draghi e nuvole. Nell’incipit del secondo atto la scena è girata e l’effetto è di una facciata di tempio tetrastilo a coprire in parte una piattaforma sacrificale; poi tutto ruota e torna come nell’inizio. I costumi di Elisabetta Montaldo Bocciardo completano l’effetto storico e geografico.
La regia è di impostazione tradizionale, evita particolari originalità ma muove in modo pulito e comprensibile le masse di coro e figuranti, riservando ai solisti una gestualità consona al ruolo. Interessante lo sfruttare i diversi piani della scenografia collegati da scale per spiegare il flusso emotivo in evoluzione nel secondo: inizialmente imperatore in alto, Calaf in basso, Turandot nel mezzo (sospesa tra due mondi e due centri affettivi), poi Turandot e Calaf, salendo o scendendo le scale, modificano la loro posizione scenica in modo da rendere i cambiamenti in atto nel cuore e nella mente.

La direzione orchestrale di Marco Zambelli non è esente da pesantezze, tuttavia si è apprezzato il cercare le tinte ampiamente novecentesche e i guizzi di modernità e il curare i tempi, ma certe polverosità hanno attenuano la portata emozionale della partitura.

Nel cast era attesa la prova di Mariella Devia, che tratteggia una Liù interiorizzata e riflessiva, che tornisce il verso cantato evidenziandone i colori; si sente la carriera belcantistica a costituire il valore aggiunto della prestazione, che all’inizio subisce un poco la barriera del volume orchestrale; già la fisicità minuta, nel confronto con l’imponenza di Timur e Calaf, ne favorisce la resa scenica. Di sicura esperienza, vocalmente autorevole e giustamente gelida nel contegno la Turandot di Giovanna Casolla, che non ha problemi quanto a volume e acuti ma risulta meno efficace nelle mezzevoci, come nella supplica paterna. Antonello Palombi sceglie la muscolarità vocale per Calaf a scapito dei colori; il registro acuto lo mette alla prova in diversi punti ma “Nessun dorma” è reso con massima cura. Adeguati Ping (Giovanni Guagliardo), Pang (Enrico Salsi) e Pong (Manuel Pierattelli). A completare il cast Massimo La Guardia (Altoum), Alessandro Guerzoni (Timur) e Fabrizio Beggi (un mandarino).

Pubblico numeroso per un teatro che meritoriamente sta cercando di ricostruire il legame con la città e il territorio grazie a una stagione interessante che coniuga la ricerca e l’originalità alla tradizione. A scena aperta e nel finale un trionfo meritato per Mariella Devia.

Visto il
al Carlo Felice di Genova (GE)