Lirica
THE TURN OF THE SCREW - IL GIRO DI VITE

ALL DAYS ARE NIGHTS

ALL DAYS ARE NIGHTS

Il giro di vite, andata in scena in prima assoluta nel 1954 a Venezia, segnò una nuova, grande affermazione per Britten. Tratta dal romanzo di Henry James, la particolarità dell'opera sta nella sottile magia dei timbri vocali e strumentali che determina un clima di ambiguità psicologica intensamente suggestivo ed inquietante, tanto che l'atmosfera appare come pesantemente notturna, gravata da tenebre implacabili, brume e oscurità anche nelle scene diurne, al punto che nella vicenda i giorni appaiono notti.
La scrittura musicale è stupefacente. Scrive Elvio Giudici: “ tutti i temi fondamentali dell'opera derivano da quello della vite ( fatto risuonare in orchestra nel Prologo, subito dopo il “I will” dell'Istitutrice), con le celebri sue successioni di quarte ascendenti legate per toni interi a squadernare dodici suoni della scala cromatica; e come le sue variazioni siano ordinate lungo tonalità ascendenti nel primo atto e discendenti nel secondo: questa serratissima organizzazione di scrittura posta a specchio dell'ancor più sofisticata impalcatura letteraria di James (...).”

Negli spettacoli di Pier Luigi Pizzi l'apparato scenotecnico assume sempre una importanza fondamentale non solo come cifra stilistica ma anche nel suo essere semanticamente rilevante nell'economia della messa in scena. E questo è uno degli esempi che ci sono parsi migliori, anche perchè il décor è completato dal riflesso dei sentimenti analizzati.
Siamo nell'interno di una casa dove è dominante il grigio; due piani collegati da una scala a chiocciola ampia. Al piano terreno il vestibolo, un soggiorno e uno studio con una parete di libri anch'essi grigi (le coste vuote, nessun titolo); al piano superiore una camera da letto e un disimpegno. Il fondo è una enorme vetrata su due piani, all'inglese, con grandi scacchi. E qui sta la genialità: grazie alle luci, quegli interni accoglienti, eleganti, raffinati, divengono prigione, con le griglie che si riflettono sulle pareti, lunghe ombre inquietanti, evocatrici di una condizione di mancanza di libertà fisica e interiore, mentale e onirica.
In alcuni momenti il chiudersi di un sipario nero isola il proscenio, dove ci sono due divani a sinistra e una cattedra con banchi e lavagna sulla destra, consentendo di cambiare la scena con un esterno di bosco in riva al lago, dominato da quindici altissimi alberi, invero solo tronchi che si allungano verso l'alto, quasi colonne di un cielo invisibile.
I costumi novecenteschi riservano abiti alla marinara per i bambini, lunghi vestiti neri di taglio severo per Mrs Grose e più morbido per l'istitutrice. Ancora in nero, con profili vampireschi nel trucco e nelle parrucche, per Quint e Miss Jessel.
Perfette e altamente suggestive le luci di Vincenzo Raponi, splendide nel differenziare gli ambienti interni come accoglienti o imprigionanti, nel sottolineare ombre, angoli e cigli dei mobili, nel rendere la brumosa oscurità degli esterni.
La regia appare complementare a scene e costumi ed è essenziale, lineare, rarefatta, consentendo non solo di seguire lo svolgimento della vicenda, ma anche e soprattutto di cogliere i moti nei pensieri e negli animi con grande precisione e ricchezza di particolari, segni evidenti di un grosso lavoro attoriale con i cantanti e di solida capacità teatrale.

Durante il prologo l'istitutrice dorme su una sedia (la stessa dove si accascerà nel finale), come a suggerire la possibilità che i fatti narrati scaturiscano dalla di lei mente, che sia tutto un sogno-incubo.
I bambini giocano serenamente, l'incontro tra l'istitutrice e Mrs Grose è sereno e fattivo, la casa bella e moderna, tutto sembra essere idilliaco. Però presto l'istitutrice avverte strane presenze nella casa, fin dalla variazione III: si guarda intorno, impaurita, inconsapevole, bene accompagnata dalla perfetta musica evocatrice.
Nella scena della lezione Miles si pone per pochi secondi come crocifisso alla lavagna, fatta impercettibilmente basculare da Quint nascosto sul retro (posizione assunta dal bambino una seconda volta contro la parete del letto nella variazione XI mentre ascolta la voce di Quint).
Sullo sfondo rimangono gli abusi sui bambini e la relazione tra Quint e la signorina Jessel: i legami morbosi vengono accennati, velatamente ma chiaramente.
Nel finale Miles sale sopra la cattedra, un po' come nell'Attimo fuggente, per poi cadere privo di vita (ma non ne siamo sicuri, potrebbe essere illusione, sogno), mentre il sipario ha isolato il proscenio come se i due fossero dentro una scatola priva di ingressi e uscite per gli umani ma non per i fantasmi. I fantasmi dei sentimenti non corrisposti, i fantasmi della solitudine, i fantasmi dell'affetto e delle buone intenzioni ripudiati e lasciati inespressi, a languire, inutilmente (che spreco..). Il buio della solitudine, la prigione della solitudine. Il giorno che si fa notte. Tutti i giorni sono notte.

Jeffrey Tate dirige molto bene l'orchestra della Fenice, ridotta a ranghi cameristici e giustamente rialzata rispetto alla buca, in modo tale che essa faccia parte anche visivamente della scena per il pubblico della platea. Il suono è allargato e si dispiega al meglio per rendere gli indugi melodici, le sveltezze, i ripiegamenti e i turbamenti, con la complicità degli ottimi strumentisti, la cui bellezza timbrica ha soggiogato gli ascoltatori.
Perfetto l'intreccio tra musica e canto. Marlin Miller è efficace tanto nel prologo quanto come vampiresco Quint, perfetto vicino alla Miss Jessel di Allison Oakes che sembra completamente soggiogata (al pari del bambino) dal suo fascino diabolico, esaltato dal nero che sembra illuminare i piedi nudi esangui. Anita Watson è una materna e poco severa istitutrice, una donna fragile e vulnerabile, teneramente vicina ai bambini. Bravissimi i bambini (Charlie McNelly e Emma Tirebuck) nel canto, negli accenti, nella recitazione. Julie Mellor è una reticente Mrs Grose, inevitabilmente (non si sa quanto incolpevolmente) complice degli eventi passati.

Diversi posti vuoti in platea, purtroppo a confermare la poca fortuna in Italia di opere bellissime e ormai parte dei repertori dei teatri di tutto il mondo. Entusiasta il pubblico presente, lunghi, calorosi e meritati gli applausi per tutti.

Visto il
al La Fenice di Venezia (VE)