Tratta dall'omonimo film di Pedro Almodóvar, la versione teatrale di Tutto su mia madre, scritta da Samuel Adamson e tradotta in italiano per l'occasione da Giovanni Lombardo Radice, pur ispirandosi chiaramente all'antecedente cinematografico se ne discosta però in molti punti.
Filo conduttore di tutto è la figura di Esteban che, attraverso i due prologhi recitati a sipario chiuso e le frequenti apparizioni sulla scena, funge un po' da guida per lo spettatore, riuscendo a materializzarsi sul palco anche dopo la morte al fine di dare corpo all'immaginazione degli altri protagonisti. In una visione onirica, quasi in bilico fra illusione e realtà, pare che tutte le vicende narrate non siano altro che la concretizzazione di quanto il ragazzo ha scritto sul proprio taccuino di appunti.
Ed ecco che, attraverso una serie di ricordi, di flashback, di momenti di teatro nel teatro, la vicenda si dipana e i personaggi ci mostrano i propri sentimenti, emozioni universali dell'essere umano, calate all'interno di vicende poco ordinarie, che ci smuovono in quanto ci appartengono.
Il patetismo è evitato e su tutto prevalgono un'ironia leggera, uno spiccato senso ludico e la grande capacità dei protagonisti di stare insieme qualunque cosa accada: il pubblico sorride e intravede sempre una speranza, anche di fronte alle vicende più dolorose. Dalla scena sono assenti la condanna, il giudizio, lo stupore, anche quando i fatti possono risultare del tutto insoliti e spiazzanti.
Efficacissima la regia di Leo Muscato che cura in ogni particolare i movimenti degli attori e fa leva su alcune idee geniali come quella di far morire Lola in un letto di ospedale (lo stesso in cui è appena spirata Rosa) subito dopo aver abbracciato il suo piccolo, nato da poco, e aver appreso da Manuela tutta la vicenda di Esteban: con lui se ne vanno, almeno in parte, i dolori del passato. Muscato si avvale delle efficaci scene di Antonio Panzuto, caratterizzate da fondali dipinti come quadri astratti, e delle belle luci di Alessandro Verazzi che passano da toni accesi, violenti, sgargianti a chiaroscuri più intimi per i momenti onirici o riflessivi.
Elisabetta Pozzi è un'indimenticabile Manuela, dilaniata dal passato, ma aperta verso il futuro; straordinaria è la capacità dell'attrice di sottolineare ogni sfumatura, di passare dai momenti di disperazione a quelli spensierati senza forzature e con una naturalità che indica quanto ella abbia saputo davvero calarsi nel personaggio. Eva Robin's è una Agrado disinvolta, mai sopra le righe, estremamente convincente e straordinariamente divertente, convinta che nella vita nulla sia autentico ad eccezione dei sentimenti e del silicone. Molto brava anche Alvia Reale nel delineare una Huma dai tratti apparenti di donna distaccata, che nella realtà si mostra però fragile e in totale balia dell'amore per la giovane Nina (Giovanna Mangiù) che la fa disperare. A completare il quadro Silvia Giulia Mendola ci presenta un'ingenua suor Rosa e Paola Di Meglio la di lei madre, irrigidita dalla vita, che solo nella scena finale riuscirà a lasciarsi un poco andare. Sul versante maschile tutte le parti sono interpretate da Alberto Fasoli, il quale mostra di avere davvero notevoli capacità trasformistiche, mentre Esteban e Lola sono impersonati entrambi da Alberto Onofrietti, quasi a sottolineare quanto il legame fra i due sia strettissimo e come proprio dal loro mancato rapporto siano scaturiti tutti i guai.
Teatro pieno: il pubblico, divertito ed entusiasta, ha tributato sul finale applausi a profusione a tutti i protagonisti.