A fronte di tanta sciatteria contemporanea, un po' di filologia non guasta. Nel gennaio 2019 tornavano in vita al Regio di Parma quinte e fondali de Un ballo in maschera ideati per quel teatro nel 1913 – primo centenario verdiano - da Giuseppe Carmignani (1871-1943), apprezzato scenografo parmense uso al rigore storico ed alla veridicità naturalistica; e già allievo di quel Girolamo Magnani che fu collaboratore prediletto da Verdi.
Imponenti materiali in carta e tela riscoperti per caso nei depositi in pessime condizioni, e restaurati con cura e sapienza. Come, lo vediamo proiettato in grande durante la breve ouverture d'apertura al Teatro Filarmonico di Verona, dove l'opera va in scena.
Una vera gioia per gli occhi
E' un apparato scenografico suggestivo, di gusto prettamente ottocentesco, quale sarebbe piaciuto a Verdi. Pronto a restituirci il fascino delle cose antiche; ma sopra tutto l'intatto valore di una storica tradizione artistica nostrana, focalizzata sulla grandiosità dell'illusione pittorica, il suo vero motivo d'essere.
L'impianto di regia di Marina Bianchi se ne serve con maestria, correndo veloce e senza inciampi, assecondando al meglio le indicazioni del libretto; e tenendo da conto anche le indicazioni di Verdi stesso, notoriamente attentissimo ai dettagli scenici. Solo alla fine, al momento del ballo a corte, la regista milanese si spinge oltre, inventandosi un turbinio di maschere dell'Arte, escamotage coreografico peraltro vivido e piacevolissimo.
I costumi ideati insieme a Lorena Marini, prettamente in stile settecentesco, sono oltre modo ben curati e raffinati; da parte sua, Leila Fteita ha provveduto a dar senso agli spazi ed inserire, senza forzature, alcuni fondamentali oggetti di scena. Intense le luci impostate da Andrea Borelli.
Un'opera debordante di parole e musiche
E' l'opera più 'barocca' di Verdi, Un ballo in maschera. Lo è un po' per l'ampollosità immaginifica dei versi del Somma (“senza libar la folgore”,“irradiami d'amore”, “s'ei rade la fossa”, “sento l'orma de' passi spietati”), ma ancor più per la copiosa abbondanza di melodie, tale che metà basterebbero per una qualsivoglia altra partitura. Gran lavoro, per un concertatore.
Non sembra che Francesco Ivan Ciampa, sul podio dell'orchestra della Fondazione Arena, vada alla ricerca di una esagerata tensione narrativa, né prediliga ritmi nervosi e serrati. Anzi lo vediamo preferire una lettura più equilibrata e sottile, più elastica, più dilatata, che suddivide il succedersi narrativo in singoli episodi a sé, ognuno sciolto con la propria, pertinente atmosfera. Una rivisitazione, a farla breve, dal bel afflato lirico, e dall'andamento sempre fluido.
Quanto al Coro scaligero curato da Roberto Gabbiani assolve adeguatamente il suo compito, intonatissimo, brillando specie nella sezione maschile.
Un tenore perfetto per Riccardo
Tocca a Luciano Ganci – voce tenorile scattante e luminosa, compatta e morbida nell'espandersi in sala, ricca armonici e ben fraseggiata - infondere giusto spessore ad un personaggio - quello di Riccardo - al quale necessita un' ardente espansività sentimentale. Ed i risultati, assai buoni, si sentono e meritano giusti applausi.
Alle prese della tormentata figura di Amelia Maria José Siri se la cava da interprete esperta: ottima qualità dell'emissione, compatta ed omogenea, gestita bene; fraseggio elegante ed adeguato. Però ci pare che il lato sensuale non emerga tutto, e mancano di verità gli slanci appassionati dell'amore e della volontà di rinuncia ad esso, e nel professare l'affetto di madre.
Un amico fidato, un'arcana indovina
Spicca in scena la rotonda e sonora vocalità di Simone Piazzala, posta al servizio del giudizioso consigliere Renato: merito della colonna di fiato generosa, della buona precisione musicale e della vigorosa presenza scenica, che raggiungono l'apice nella veemenza di «Eri tu».
Assente per indisposizione Anna Maria Chiuri, nei panni di Ulrica l'ha sostituita all'ultimo il mezzosoprano russo Maria Ermolaeva, uscendone tutto sommato – in assenza di prove – con plausibilissimi risultati: emissione generosa, voce omogenea nel registro medio-grave, convincente recitazione.
Enkeleda Kamani tratteggia con garbo e fine vocalità uno spiritoso e brillante Oscar. Fabio Previati si impone nella baldanza marinaresca di Silvano. I due foschi cospiratori, Samuel e Tom, sono affidati alle voci gravi di Romano Dal Zovo e Nicolò Donini; Salvatore Schiano Di Cola interpreta il Giudice ed il Servo d'Amelia.