Lirica
UN BALLO IN MASCHERA

TRE COLORI PER IL BALLO

TRE COLORI PER IL BALLO

In attesa del  bicentenario verdiano, il Regio di Torino propone in chiusura di stagione il proprio allestimento del Ballo in maschera creato nel 2004 da Lorenzo Mariani (con scene di Maurizio Balò e costumi di Maurizio Millenotti) in coproduzione  coi teatri di Firenze e Catania.

L’impianto scenico ha un taglio geometrico e minimale dalle proporzioni insolite per l’uso di dettagli sovradimensionati, come le enormi cornici bianche poste di sbieco coperte di teli neri, la porta a tutt’altezza che, se aperta, genera sorpresa, l’immenso lampadario rovesciato a terra che verrà alzato a vista per la festa.
La produzione è giocata su tre colori, bianco, rosso e nero: total white in apertura per la sala del conte, nero per la scena del campo caratterizzato da travi inclinate a cui sono appesi inquietanti cappi, rosso per l’antro d’Ulrica, illuminato da un faro ondeggiante come un pendolo che accende di bagliori di fiamma anche Riccardo, laccato di rosso il letto divelto, rossa l’esplosione di tessuti, coriandoli e stelle filanti per il ballo finale.
L’ambientazione è vagamente anni ‘30, come si intuisce dai tocchi déco, dai congiurati - gangster con pistola, cappello e bavero alzato, dall’acconciatura di Amelia, ma anche dall’uso di bianchi e neri, ombre e brume cineree da film noir. L’atmosfera da thriller non è male, ma numerose sono le trovate di regia che, anziché aggiungere qualcosa, distolgono l’attenzione dal dramma: inutili  le donne velate di nero che ondeggiano in trance intorno al tavolo dell’indovina facendo una sorta di “ola”; che Oscar si fumi una sigaretta sul carrello dei liquori ci può stare, ma se ci sale anche Riccardo diventa ridicolo e  Amelia che si aggira impellicciata con un diadema in testa alla ricerca di un’erba arancione fra la selva di forche sembra avere sbagliato opera. In un clima da  proibizionismo è plausibile che Renato si scoli bottiglie di  whisky dopo avere distrutto il talamo nuziale, ma che anche la definizione della congiura avvenga in camera da letto dove si ritrovano tutti (Amelia, Renato, Tom, Samuel e Oscar che prima saltella sulle lenzuola di raso poi ne fa un mantello) inevitabilmente stona. Meglio la scena del ballo, introdotto da un clima di dismissione con l’immenso lampadario appoggiato al pavimento e le cornici nere addossate alle pareti che prepara l’effetto sorpresa della festa, quando dal fondo irrompono all’improvviso le maschere colorate in un’esplosione di colore e movimento e dal soffitto piovono coriandoli e nastri rossi come stelle filanti.

Note decisamente positive per quanto concerne l’esecuzione vocale e musicale.
Un plauso a Serena Gamberoni, Oscar esuberante e vivace (tanto agile da fare anche la ruota), estraneo a ogni smanceria o leziosaggine: davvero un bel personaggio questo paggio, che per un istante si rabbuia quando nel gioco scorge il dramma, dalla voce timbrata e squillante che incanta per espressività, dizione e fraseggio. Gregory Kunde sta vivendo una seconda giovinezza in un repertorio lontano dai ruoli belcantisti che ne hanno scandito la lunga carriera, la voce non ha particolare bellezza timbrica, ma è ferma e sicura; inoltre musicalità e  tecnica, unite a un’indubbia capacità di scavo, tratteggiano un Riccardo intenso e drammatico. L’Amelia di Oksana Dika è dotata di notevoli mezzi vocali, forse fin troppo decisi ai fini dell’introspezione, e convince più negli assoli (bene il “Morrò”) che non nei duetti, dove risulta più evidente una certa genericità interpretativa. Marianne Cornetti è un’Ulrica della migliore tradizione, dalla voce possente, ma composta e dotata di un bel registro grave che ha l’intelligenza di non enfatizzare inutilmente. Gabriele Viviani è un Renato che incontra il favore del pubblico per una bella voce baritonale dalle gradevoli  mezze voci, da affinare la tecnica nei passaggi. Corretti  il Samuel di Antonio Barbagallo e il Tom di Gabriele Sagona. Completano il cast Luca Casalin (un giudice) e Dario Prola (un servitore di Amelia)

Renato Palumbo offre una direzione appassionata dai suoni densi e vibranti, più drammatica che elegiaca, più giovanile che introspettiva, che privilegia il lato notturno della partitura. Nonostante prevalgano sonorità piuttosto forti, non vengono meno le ragioni del canto, sempre ben sostenuto dall’ottima orchestra del Regio. Sempre puntuale la prova del coro.

Grande successo di pubblico, che ha applaudito con l’abituale calore l’ultima proposta della variegata stagione torinese.

Visto il
al Regio di Torino (TO)