Lirica
UN BALLO IN MASCHERA

Un ballo fra le nuvole

Un ballo fra le nuvole

I magazzini dei teatri sono un po’ i depositi delle meraviglie; da quelli del Regio di Parma sono uscite le scene che Pierluigi Samaritani creò per il Ballo nel 1989 e che vengono innervate nella regia di Massimo Gasparon ripresa un’idea dello stesso Samaritani.
Dal punto di vista scenotecnico gli atti primo e terzo sono stupefacenti. All’inizio un interno in ardita prospettiva idealmente divisa in due parti: la destra si sviluppa in profondità con il soffitto di uno scalone a tenaglia, la sinistra è occupata dalla rampa centrale dell’ampio scalone sbieco che conduce a un piano rialzato, dominato da una parete vetrata da cui filtrano i raggi del sole. Più convenzionale la grotta di Ulrica (anche qui si insinua il sole da uno squarcio tondo sul soffitto). Il cimitero notturno, fra tombe a terra e alberi nudi ammantati di nebbia sullo sfondo delle rovine di una cattedrale gotica, è stato ricostruito ex novo. Il terzo atto è dapprima nello studio di Renato, una grande sala elegante con alte finestre da cui entrano raggi di sole di materica corposità (incongruo il catafalco al centro ricoperto di stoffa rossa con sopra strumenti musicali e un globo terracqueo). Il finale è nel salone da ballo: l’assolo di Riccardo è davanti a un velatino con la prospettiva dorata del salone, ambiente poi della festa in toni azzurrati (i pilastrini che foderano le quinte appoggiano su vaporose nuvole).
Le scene e i fondali dipinti rimandano a un tempo in cui il mestiere artigianale era opera d’arte con gusto e perizia totalmente italici. I costumi completano l’opera di Samaritani ma, in alcuni casi, la sua eleganza consueta non si è tradotta in risultato di pari gusto, soprattutto nei colori troppo accesi e in alcune incongruenze (Amelia ha un abito bianco di raso con mantello azzurro mentre viene da Renato trascinata via dall’orrido campo; un istante dopo, arrivati a casa, ha un abito verde di velluto).
Massimo Gasparon affolla fin troppo la scena iniziale (quattro cardinali, tre ragazzini, due bambinaie dalle acconciature alla Goya e molti altri) e per il resto segue le indicazioni del libretto, privilegiando masse statiche quasi come tableaux vivent. Nel finale Renato viene pugnalato alle spalle.
Le coreografie di Roberto Maria Pizzuto sono semplici ed efficaci per dare l’idea che siano gli stessi convitati a ballare e non professionisti a ingaggio; seducenti le figure maschile-femminile con le doppie maschere sul viso e sulla nuca.
Non sempre giuste le luci di Andrea Borelli, a momenti troppo forti sui fondali dipinti.

Gianluigi Gelmetti mostra conoscenza della partitura e affiatamento con l’orchestra, rendendo al meglio i momenti concitati e drammatici accanto a quelli più lirici e di abbandono sentimentale, dove gli accenti di amore, amicizia e pietà filiale sono resi con plastica rotondità non turbata dai robusti, vibranti contrasti che caratterizzano altre pagine.

Francesco Meli debutta in Riccardo, la voce è grande e ben timbrata come il verso è scolpito e legato in modo ottimale: sicuramente, ripetendo il ruolo e curando le sfumature e gli accenti in modo più personale, arriverà in breve al massimo. Vladimir Stoyanov è un Renato granitico, di cui si è apprezzata la voce calda che ha emozionato nell’aria di struggente abbandono in apertura del terz’atto. La Amelia di Alisa Zinovjeva è intensa e partecipe, pur con qualche limite di estensione. Scura e intensa ma non abbastanza autorevole e temibile la Ulrica di Nicole Piccolomini. Probabilmente la migliore della serata è stata Serena Gamberoni, un eccellente Oscar per limpidezza ed armonia di voce. Nei ruoli di contorno Filippo Polinelli (Silvano), Antonio Barbagallo (Samuel) ed Enrico Rinaldo (Tom). Con loro Cosimo Vassallo (un giudice), Enrico Paolillo (un servo) e il coro ottimamente preparato da Martino Faggiani.

Pubblico numeroso ed attento, molti applausi per tutti ma un trionfo per Meli e Gamberoni.
In occasione della messa in scena, il Regio di Parma e l’Istituto nazionale di studi verdiani editano il quinto quaderno del festival Verdi che, attraverso saggi, carteggi e la disposizione scenica per la prima romana del 1859, “offre una ricca indagine dei percorsi attraverso i quali è nata quest’opera così complessa e feconda di implicazioni per la comprensione del mondo verdiano”.

Visto il
al Regio di Parma (PR)