Prosa
VINCENT RIVER

Anita, una donna non più giov…

Anita, una donna non più giov…
Anita, una donna non più giovane, fa entrare in casa David, un ragazzo giovanissimo e impacciato. Lui la segue da settimane e lei ha deciso sia giunto il momento di fare la sua conoscenza. La casa è in disordine, piena di scatole non ancora aperte. Anita è la madre di Vincent, il ragazzo trovato ucciso nei bagni di una stazione abbandonata della ferrovia londinese, luogo di rimorchio per omosessuali e ha appena traslocato per sottrarsi al ludibrio dei vicini... David confessa ad Anita di avere ritrovato lui il corpo di Vincent, mentre passava di lì con la sua ragazza e da allora non riesce più a dimenticarsene... Si apre così Vincent River, del poliedrico Philip Ridley, autore inglese, oltre che di opere teatrali, di romanzi (Gli occhi di Mr. Fury), anche per bambini (Zip e il carrello magico), di sceneggiature (The Krays, diretto da Peter Medak) e regista lui stesso (Riflessi sulla pelle del 1990). Anita indaga, offre da bere a David, gli racconta, solo perché qualche oggetto che toglie dalle scatole glielo fa tornare in mente, frammenti della sua infanzia, della sua giovinezza. David sembra incuriosito, vuole che lei continui a raccontare... Fanno un patto, lei gli racconterà ancora di sé, se lui le descriverà come ha scoperto il cadavere del figlio... Scopriamo così che Anita è una ragazza madre, cacciata di casa dal padre, operaia giovanissima già prima di rimanere incinta, alle prese con la morte del figlio, accusato di dedicarsi alle "orge omosessuali", lui che non usciva mai di casa, e rimaneva sempre davanti al pc, tranne la sera del suo assassinio. David invece ha appena perso la madre, morta a causa di un cancro che l'ha tormentata per anni, e alle prese con un padre manesco... Anita sospetta che David le nasconda qualcosa e infatti la confessione arriva, improvvisa: lui e Vincent si erano incontrati in ospedale (Anita si era ricoverata per togliersi un'antiestetica vena el piede) e avevano fatto sesso nei bagni dell'ospedale. Si erano poi visti in casa di Vincent, approfittando dela degenza di Anita, ma David non era riuscito a fare l'amore con lui, lì, nell'itimità delle mura domestiche. Recatisi nei bagni di una stazione del treno abbandonata, noto ritrovo omosessuale, fanno sesso lì... Usciti separatamente per non dare nell'occhio, Vincent viene sorpreso da 5 ragazzi giovanissimi che lo picchiano a morte, senza che David sia capace di intervenire, paralizzato dalla paura. Sembra un racconto d'altri tempi, ma il testo è stato scritto nel 2000 (ha debuttato il 13 settembre di quell'anno all'Hampstead Theatre di Londra) in un periodo in cui diverse aggressioni di stampo omofobo stavano avvenendo un po' in tutta la Gran Bretagna. Ridley ha avuto l'intelligenza di non limitarsi a denunciare l'omofobia e le sue vittime ma a indicare anche le affinità tra Vincent (e David) e sua madre Anita, vittime dalla stessa avversione per il diverso, sia questo un omosessuale o una ragazza madre. David e Anita sono accomunati dallo stesso dolore, dalla stessa solitudine e, incontratisi, si riconoscono (tant'è che David, a un certo punto, la bacia furiosamente) anche se le differenze anagrafiche e di genere non possono far diventare uno amico dell'altra. D'altronde Ridely non cerca un finale consolatorio, ma vuole che lo spettatore esca dal teatro con addosso tutto l'orrore per un accanimento omofobo (ovvero maschilista e misogino) con cui la società si abbatte ancora oggi, con la stessa determinazione di 50 anni fa, contro i diversi. Altri personaggi popolano la pièce, evocati dal racconto dei due unici protagonisti in scena: la madre remissiva di David, la quale, scoperto l'orientamento sessuale del figlio, lo stuzzica con crudeli battutine contro i froci, consumata lentamente da un cancro inesorabile; il padre manesco; la ragazza di David, una copertura per far contenta sua madre, lasciata subito dopo che la donna è morta (ragazza per la quale Anita riesce ad avere parole di solidarietà: poverina, l'hai ingannata... dice a David, senza cattiveria). Ci sono poi le operaie che denigrarono Anita quando, appena ventenne, rimase incita di Vincent, cacciata di casa dal padre per un figlio che, a quanto ne sappiamo, ha cresciuto da sola, senza alcun uomo al suo fianco. Interessanti sono anche i partner sessuali di David, tra i quali un padre di famiglia, incontrato nei gabinetti dell'ospedale, che non corrisponde certo al cliché della checca cui tutti i media hanno costretto ad abituarci. Senza dimenticare i cinque giovanissimi che massacrano il frocio Vincent con la stessa leggerezza con cui si uccide un gatto. Un'istantanea della società occidentale contemporanea precisa quanto inquietante proposta da un testo che non ha la vocazione del pamphlet di denuncia, ma è illuminato dall'urgenza di raccontare una storia. Una storia che ci riguarda tutti e ci schiera inesorabilmente tra le vittime o i carnefici. Vincet River ha il merito di soffermarsi sul peggiore effetto dell'omofobia, quello di rendere come primi omofobi gli omosessuali stessi. Nonostante si trovino in un posto appartato, infatti, i due ragazzi decidono di uscire dai bagni separatamente "per non dare nell'occhio" e proprio questo li condannerà: Vincent a morte e David a vivere con un'insuperabile senso di colpa. Un clima di rifiuto che inculca nelle sue stesse vittime l'interdizione omofobica: David non riesce a vivere il suo orientamento sessuale nella pienezza di una dimensione affettiva, ma solo in quella compulsivo-consumistica del sesso fine a se stesso (come racconta ad Anita) tanto che anche con Vincent si sente a suo agio solo nei bagni di una stazione abbandonata. Mentre Vincent, a 30 anni, aveva trovato nel sesso virtuale di internet un surrogato accettabile della sessualità, almeno prima di incontrare David. Un testo dalla straordinaria efficacia icastica che Lerici (che firma adattamento e regia) in alcuni momenti sfrutta quasi cinematograficamente, come quando fa muovere David, che descrive il presunto ritrovamento di Vincent già cadavere, tra i bagni abbandonati della stazione come fosse veramente lì, in un flashback, drammaturgicamente evocato solo dalle sue parole, che per lo spettatore diventa visivo. Vincent River che ha debuttato in Italia a Bracciano nell'ambito di Opere Festival 2008, (co-produttore dello spettacolo) è uno di quei testi che, essendo basato sulla parola, richiede una particolare cura nella direzione degli interpreti. Compito che Lerici assolve egregiamente, coadiuvato da due attori straordinariamente efficaci che si confrontano con difficoltà diverse. Il personaggio di Anita è quello di una donna forte, arrabbiata, non disperata per avere perso il figlio, l'attrice che la deve interpretare è chiamata a tenere viva per tutta la durata della pièce questa rabbia che solo apparentemente ottunde la scaltrezza che le permette di fronteggiare le ingenue menzogne di David e farsi raccontare la verità. David invece è un personaggio che cresce man mano che la sua reticenza lascia il posto (complice il Gin e uno spinello), alla gioia di raccontare finalmente a qualcuno l'eccitazione, il desiderio e l'amore per Vincent (non a caso inizia a confessarsi con Anita dopo aver sentito l'odore di Vincent rimasto su una delle sue magliette, che la madre custodisce insieme a vecchie foto e a disegni d'infanzia). Amore adolescenziale, eccitazione sessuale da adulto, vergogna e autocommiserazione, tanti sono gli stati d'animo che l'interprete di David è chiamato a recitare. Michele Maganza è bravissimo, e sensuale, nel dare voce e corpo a David, al suo senso di colpa per non aver impedito che il suo ragazzo venisse massacrato ma, anche, a quello di essere un frocio. Francesca Bianco interpreta Anita con tutta se stessa, la rabbia per il figlio ucciso brutalmente (i denti spezzati, cocci di bottiglia negli occhi, chiodi di un legno marcio che hanno aperto delle ferite nelle gambe, l'inguine insanguinato...) è la sua stessa rabbia. Quando, alla fine dello spettacolo, Anita distrugge una delle tazze di sua madre che, sin da piccola, era stata abituata a trattare come una preiziosa reliquia, alla rabbia del personaggio si aggiunge anche quella dell'interprete, perché non si può rimanere indifferenti dinanzi una società violenta e talmente arrogante da pretendere di imporre la propria normalità a tutti gli altri come quella raccontata nella pièce. Chi rimane indifferente, nel mondo reale come a teatro, è già un complice di una intolleranza omicida che prima o poi ci travolgerà tutti, perché siamo tutti potenzialmente diversi. Roma, Teatro Belli 28 ottobre 9 novembre 2008
Visto il
al Belli di Roma (RM)