Tra le ultime opere di Brecht, Vita di Galileo è quella che forse meglio contiene l’idea di provvisorietà della scrittura, caratteristica che per il drammaturgo tedesco denota la capacità di un testo di esser vivo e contemporaneo. Composto nella sua prima stesura alla fine del 1938, il lavoro viene rielaborato almeno due volte, dapprima tra il 1943 e il 1947 e poi definitivamente a metà degli anni Cinquanta. Il rapporto tra la scienza e il potere, tema centrale nell’opera, viene profondamente attraversato negli anni della guerra dalle tremende manifestazioni dell’atomica come strumento bellico; parallelamente la figura di Galileo si trasforma nella riscrittura, che procede incessante fino alla morte di Brecht. Nella versione ultima Galileo è anzitutto l’uomo che ha avuto paura dinanzi alle minacce dell’Inquisizione, testimone dunque di una debolezza, propria dell’uomo, che convive col genio; e non è eccessivo ritenere che Brecht pensasse anche a sé stesso, intellettuale perseguitato e perciò esposto di continuo al rischio del compromesso.
Con la sua messa in scena Calenda sceglie di attenuare la conflittualità e la debolezza di Galileo, delineando un personaggio incisivo e impetuoso, quasi con sfumature da eroe romantico, intenso anche nel momento finale della sconfitta. Una scelta verosimilmente ispirata anche dall’altezza dell’interprete, l’imponente Franco Branciaroli, baricentro inevitabile della scena e protagonista di un’esecuzione appassionata e sonora, che rende epico anche il passo doloroso dell’abiura; forse però un'opzione non perfettamente conseguente all’intenzione brechtiana, in genere poco incline alle figure “eroiche”, e comunque permeata da una visione marxista e “collettiva” degli eventi sociali. Coerentemente con la scelta drammaturgica, la scena finale − in cui Andrea Sarti, apprestandosi a partire per la libera Olanda dove farà pubblicare i manoscritti del maestro, suggerisce il principio di una nuova era − viene rimossa, come già nella seconda stesura di Brecht, lasciando calare la luce e il sipario sul vecchio e irriducibile Galileo.
Sulla scenografia l’autore ha lasciato spunti e indicazioni, che vengono ripresi in questo allestimento con una certa accuratezza; efficace l’invenzione di un fondo cosmico che proietta tutta la vicenda “umana” in un punto di relativa indifferenza dell’universo, sottraendo la scena stessa degli eventi ad una centralità tolemaica. Buona l’esecuzione di alcuni personaggi importanti per la marcatura dei temi principali: molto convincenti, ad esempio, Giancarlo Cortesi e Daniele Griggio nell’interpretazione dei due cardinali che interrogano Galileo: espressione del potere fermo, dunque né inclini ad un’arroganza non necessaria, né permeati da alcuna urgenza spirituale. Pregevole anche la prova di Giorgio Lanza nei panni di Sagredo, il compagno spirituale di Galileo in cui risuona e si fa parola ogni preavviso di dubbio e di umana fragilità del protagonista.
Teatro Bellini - Napoli, 11 dicembre 2007
Visto il
al
Toselli
di Cuneo
(CN)