Testo tra i più famosi di Ruccello, eppure tra i meno frequentati dell'autore napoletano per una sua oggettiva difficoltà registica, Week-end torna in scena al Teatro della Cometa con la bella regia di Luca De Bei che, con grande rispetto per il testo, interviene sul con-testo esplicitando quel che in Ruccello è oscurato e come messo a tacere, dando ariosità a certi passaggi emotivi e logici della protagonista, che nel testo sono allestiti e consumati piuttosto in fretta.
Nella sua apparente semplicità Week-end ci presenta Ida una professoressa di lettere (così dice la didascalia, ma nel testo diventano lingue) di origini meridionali trapiantata a Roma ormai da molti danni (...) di una bellezza ormai appassita, Marco, un ragazzino di circa 14 anni, al quale Ida dà ripetizioni, e l'idraulico Narciso poco più di un adolescente (...) di una bellezza efebica e quasi femminea nella sua delicatezza, (...) eppure da tutto il corpo emana una tranquilla forza già virile.
Nell'arco del week-end del titolo (le cui giornate, nello spettacolo, sono scandite da didascalie videoproiettate di colore rosso) Ida misurerà tutta la sua solitudine nella distanza tra sessualità e sentimenti così come riesce a concepirli con Narciso e anche con Marco.
Una solitudine che ha origini antiche, nel retaggio di un sud che l'ha marchiata come storpia (come commenta crudele Narciso al paese non t'ha voluta sposare nessuno) per via di una lieve zoppia e che il riscatto sociale della laurea e dell'insegnamento nella Capitale non sono stai sufficienti a riempire una vita solitaria.
La natura dei rapporti interpersonali tra Ida e Narciso e tra Ida e Marco, pur descritti nel testo con un registro naturalistico, sono disseminati da indizi che, a saperli cogliere, insinuano il dubbio sulla loro vera natura: fantasie, sogni, desideri o avvenimenti davvero accaduti?
Luca De Bei esplicita questa distonia con la sola regia a cominciare dalla scenografia che diventa il quarto personaggio della dramma, con una intuizione intelligente ed elegante.
Una scenografia personaggio non solo quando nell'appartamento, a un certo punto, gli oggetti si fanno aggressivi e si ribellano contro la protagonista: la lampada si spegne da sola, la
finestra si apre spontaneamente lasciando entrare oltre ai suoni della città, come nelle volte precedenti, del fumo (nebbia?) contribuendo a destabilizzare Ida (in una delle poche scene davvero aggiunte e non estrapolate dal testo dove vivono solo in potenza).
Personaggio anche quando la scenografia si fa controparte di Ida che vi interagisce prima ancora di interagire con Marco e Narciso.
Da quando si apre il sipario all'arrivo di Marco passano diversi minuti in cui la donna si muove sulla scena senza parlare: rientra da scuola, si cambia d'abito, mangia, ascolta musica, fuma una delle tantissime sigarette.
Ida vive e si muove nel suo appartamento con una serie di azioni che costituiscono degli iati tra un dialogo e l'altro, tra un quadro e l'altro (come li chiama l'autore nel testo) dicendo molto di quanto nel testo è solamente suggerito tra le righe, dando spessore al vissuto quotidiano di Ida e a radicare anche nell'ambiente, il suo carattere, la sua storia, la sua vita.
Una scenografia al contempo naturalistica (il giradischi funzionante, la grande finestra agibile che dà sul pilastro della tangenziale di Roma che sormonta l'appartamento) e simbolica (la
posizione della stanza, senza pareti, i cui lati del pavimento non sono paralleli alle quinte, ponendone gli angoli quasi di fronte la platea) quasi espressionista (il pavimento pendente verso la platea perchè, ci ha detto De Bei, la casa di Ida è una nave che affonda).
Una scenografia curata anche nel sonoro: dai rumori della città che invadono la casa quando Ida apre la finestra, al dislocamento spaziale delle musiche che, quando fungono da
sipario sonoro, tra un quadro e l'altro, sono diffuse su tutto il palcoscenico e quando diventano di scena, si collocano spazialmente fuoriuscendo ora dal televisore ora dal giradischi, a seconda dei casi).
Più che assistere a una storia allestita e messa in scena per il pubblico, De Bei invita la platea a osservare, non vista, la quotidianità di Ida come la osservasse attraverso i vetri di un acquario, restituendo così il (pre)giudizio col quale il Paese da cui Ida proviene l'ha guardata, costringendola ad allontanarsene.
Personaggio complesso, che attraversa tutto uno spettro di emozioni e stati d'animo, Ida necessita di una attrice che sappia tenere la scena con credibilità e che sappia resistere alla mole di lavoro, anche non verbale, di cui De Bei la investe.
Margherita Di Rauso è l'attrice ideale per questo ruolo dotata di un grande talento che le fa restituire le emozioni e le reazioni di Ida non già semplicemente recitandole ma innervandole e incarnandole sul proprio corpo di interprete che sa stare sulla scena con una confidenza e una spontaneità di squisita eleganza.
Di Rauso dà corpo e ombra a Ida, alla sua vita e alle sue ossessioni, mostrando i segni interiori (il ludibrio del paese che l'ha vista come una puttana perchè ha viaggiato da sola senza di essere sposata) ed esteriori (il desiderio di essere considerata piacente) della frustrazione di un riscatto (quello di essere venuta a Roma a fare la professoressa) che non le ha davvero cambiato la vita, emancipandola dalla pressione sociale del paese solo per condurla verso una solitudine totale: le uniche persone che la vengono a trovare lo fanno per lavoro lo studente cui dà ripetizioni, l'idraulico chiamato per riparare un guasto inesistente.
De Bei e Di Rauso si fanno forti l'uno dell'intelligenza scenica dell'altra divertendosi a sfidarsi in un contrappunto nel quale più De Bei esplicita l'implicito del testo di Ruccello più Di Rauso cavalca questa espansione di senso e di significato con grande autorevolezza e sicurezza di sé. Una confidenza dell'attrice che arriva al pubblico, che le si affida completamente.
Anche per questo Margherita Di Rauso è Ida in una maniera che va ben al di là del classico rapporto tra attrice e personaggio.
I gesti di Ida, incastonati nella scena da una regia che quasi li coreografa, acquistano così i tratti di un cerimoniale: il cambio d'abito, la sigaretta accesa, il prosciutto mangiato direttamente dalla confezione (o messo in un panino), le canzoni francesi (da Josephine Baker a Fréhel) che Ida mette sul giradischi al momento giusto, ognuna delle quali è scelta in base al testo, che diventa commento a quanto Ida prova o a quel che le capita, sono dettagli che concorrono tutti a una direzione di senso che fa precipitare l'indeterminatezza della storia così come è concepita da Ruccello in un significato più chiaro, più ampio, più chiaramente determinato.
Questa ricerca di una coerenza discorsiva nei sottotesti ampiamente indeterminati di Ruccello, è frutto di esegesi critica che De Bei fa non solo con grande intelligenza registica, ma anche con grande umiltà, non per presentare un suo punto di vista di regista e autore di teatro, ma per spirito di servizio a un testo che dimostra di amare molto.
Una esegesi nella quale all'indeterminatezza del sottotesto si sostituisce una occorrenza di senso che acquista le sembianze di un pattern nel quale, giocoforza, la prospettiva drammaturgica del testo originale viene modificata.
Il cambiamento di prospettiva più evidente è nella scelta degli attori ai quali De Bei fa interpretare i due protagonisti maschili, facendo diventare Marco un diciottenne (Brenno Placido che, lontano dal ragazzino petulante di Ruccello, ci regala un giovane timido e vittima delle circostanze) e Narciso (Giulio Forges Davanzati che è tutt'altro che un efebo) un giovane uomo, laddove in Ruccello i due personaggi hanno rispettivamente 14 e 20 anni.
Lo scandalo di Ida non è quello di una donna matura che va con degli uomini giovani o giovanissimi ma è, prima ancora, quello della professoressa che ha rapporti sessuali con ragazzi che sono della stessa età di quelli cui potrebbe fare da insegnante a scuola.
Prima di essere una donna sola Ida è una professoressa, sempre, anche quando va al cinema sotto casa (a vedere Via col vento e non Il tempo delle mele).
Le canzoni francesi che Ida ascolta anche perchè i loro testi commentano la sua vita rischiano di far perdere agli occhi del pubblico un po' di lucidità, di presenza a se stessa, facendola diventare una donna che si sdilinquisce (anche se si tratta di uno sdilinquimento che parla la lingua del delirio) perchè vittima di un immaginario romantico piuttosto che vittima di una
precisa discriminazione di genere.
La Ida di Ruccello ascolta infatti Mozart e da professoressa malsopporta le canzoni che ascolta Narciso (che sono quelle dell'attualità, quelle contemporanee all'epoca in cui il testo è stato scritto, indicate con precisione nelle didascalie).
Ruccello sottolinea come l'essere stata vittima di un pregiudizio, nel paese del sud che l'ha giudicata zoppa e puttana, non rende Ida immune dal classismo col quale a sua volta giudica i due ragazzi coi quali si relaziona, non riuscendo a conciliare la prestanza fisica cui è sensibile, con l'affinità intellettuale che non sa trovare in chi ascolta Piccolo Amore dei Ricchi e Poveri.
Questa componente di classe, che dà a Ida una qualità unica nel panorama del
teatro italiano contemporaneo è un po' offuscata, messa tra parentesi, dalla messinscena di De Bei che ne fa una donna in qualche modo vessata dal maschio, come a voler leggere tra le righe una ingenuità o una incapacità della zitella a stare al mondo, che non
appartengono alla Ida di Ruccello per il quale la sua incapacità è semmai quella di soccombere sotto la rabbia per chi l'ha discriminata in quanto donna zitella e zoppa.
Una rabbia delirante che in Ruccello Ida non riesce più a controllare solo dopo un preciso fatto drammaturgico che avviene nel secondo tempo e che invece De Bei ha necessità di anticipare sin dagli esordi.
Una anticipazione che è essenziale alla credibilità psicologica di Ida nel cercare di sostenere la quale però De Bei rischia di esporla impercettibilmente al giudizio del pubblico rendendola ora grottesca, ora buffa, ora delirante.
Nel terzo quadro del primo tempo Narciso e Ida guardano la tv dopo aver trascorso la notte insieme. Per Ruccello la tv accesa sulla domenica sportiva serve solo a indicare la differenza di gusto, cioè di classe, tra il ragazzo e la professoressa, poi Ida inizia subito a raccontargli la fiaba della donna zoppa.
De Bei amplifica la scena facendone una questione di maschilismo di un giovane uomo che segue i risultati delle partite trascurando la donna.
La fiaba che Ida racconta a Narciso non denota più la cultura della professoressa (la fiaba della signora zoppa è un'antica fiaba della tradizione campana, una delle fonti della fiaba rielaboratissima fiaba di Cenerentola che Ruccello aveva conosciuto nei suoi studi antropologici) ma l'espediente maldestro di Ida per attirare l'attenzione di Narciso su di sé e distoglierlo dalla tv, invertendo il senso profondo della scena: Ida non ha bisogno di un uomo per essere ma, più semplicemente, ha bisogno di essere amata da un uomo, ed è sempre motrice di quanto le capita e mai vittima del desiderio (o del non desiderio) maschile verso di lei.
La Ida di De Bei è sicuramente più umana (nella fragilità che lascia trapelare) di quella di Ruccello perdendo un poco della icasticità nel rappresentare certa ideologia (piccolo)borghese con la quale Ruccello addita una intera società sacrificando per questo la psicologia del suo stesso personaggio, in un modo che De Bei, che ama Ida più del suo stesso autore, non riesce a tollerare.
Prosa
WEEK END
Un Week-end impreziosito da una splendida regia.
Visto il
01-10-2013
al
Della Cometa
di Roma
(RM)