un tac di calamita da una parola mia o sua.
E io che ci ricasco benché lo so come sono.
Ma ti amo – mi ha ripetuto e come faccio
a non riamarlo io che non chiedo altro.
Poi tutti a bocca aperta che uno come lui
con una come me che nemmeno col pensiero avrei osato.
Continuo a domandarmi come è possibile che.
Chissà cos’ha in mente chissà in me cosa vede.
Chissà cosa ama se pure ama.
Potrei supporre di non sapere come sono
e che anche lui si domandi come è possibile che.
Ma temo sia più vero quello che so di sapere
e lui se non oggi domani riaprirà gli occhi.
Forse ci sta già pensando a come cavarsene fuori
più avanti dei miei timori.
Non devo illudermi perché dopo sarà peggio.
Meglio dirglielo subito che se ha un sospetto è vero.
Che faccia conto sia stato come uno sbaglio al telefono.
Insomma niente – e che se vuole può andarsene.
Giovanni Giudici La Bovary c'est moi
La poesia di Giovanni Giudici in esergo è uno dei testi di riferimento di Your Girl istallazione d'arte (nacque così, nel 2007) di Alessandro Sciarroni con Matteo Ramponi e Chiara Bersani, istallazione che è poi approdata al teatro come coreografia.
Sciarroni lavora con il suo attore e con la sua attrice invertendo il processo drammaturgico: non sono loro a interpretare i personaggi sono i personaggi ad agire su di loro.
Il portato narrativo del romanzo di Flaubert viene individuato nel desiderio, non un desiderio astratto o borghese ma un desiderio concreto, scritto nei corpi, quello minuto e fragile di Chiara Bersani, affetta da osteogenesi, e quello slanciato e svagato di Matteo Ramponi.
Un desiderio che viene spogliato di ogni sovrastruttura tramite il gioco infantile di chiedere ai petali di una margherita se il nostro beneamato ci ama oppure no, qui sostituiti dagli abiti della perfomer, prima, e da quelli del del performer, poi, fagocitati da un bidone aspiratutto che sommuove anche i capelli della performer come in un film hollywoodiano.
Il desiderio accende e (s)muove il corpo difforme - e non deforme - della perfomer chiamando in causa il corpo distratto e assente del performer che, per quanto aderente a quella sterile perfezione fisica di un immaginario collettivo sempre più distante dalla realtà concreta delle persone, tutto sbilanciato verso un corpo astratto e alieno - è un corpo non presente a se stesso e privo di desiderio. Un copro desiderato dalla performer che lo accende del suo desiderio (ri)affermando la vera essenza di Emma Bovary che è quella di essere un soggetto desiderante e non un oggetto da desiderare, ruolo una volta tanto interpretato dall'uomo.
Un desiderio che non è mai astratto ma che si conforma al nostro corpo, un corpo altro, non idealizzato, non canonizzato, organicamente multiforme e che si sottrae a ogni canone.
Un desiderio che costringe il pubblico a confrontarsi con la propria grammatica del desiderio che è sempre quella adolescenziale e romantica dell'essere contraccambiati.
Un corpo desiderante quello di Chiara Bersani che nel suo desiderio anticipa anche il desiderio di lui per lei, proprio come quando lui si chiederà, dopo essersi adeguato al denudamento, se lui lo ama oppure no riconoscendo e restituendo così il desiderio di lei per lui rappresentandosi e rispecchiandosi nel desiderio dell'altra.
Quando entrambi nudi spogliati di quegli abiti che sono quelli sociali della borghesia e quelli privati delle proprie idiosincrasie finalmente si incontrano la loro nudità finisce di essere un fine e diventa un mezzo per conoscersi e riconoscersi, nell'intreccio delle mani per le quali i due performer si prendono, la testa di lei appoggiata sull'anca di lui, la mano di lui sulla testa di lei.
E poi l'emozione pop di una canzone di Tiziano Ferro ci ricorda l'effimera voluttà adolescenziale di un desiderio che ci fa chiedere mi ama, non mi ama?
La performance è stata preceduta dal video Jospeh che testimonia l'omonima performance di Sciarroni creata nel 2011 nella quale il coreografo, da solo in scena, interagisce con la webcam del suo pc apple che restituisce la sua immagine amplificata video-proiettata su uno schermo che occupa gran parte del palco.
L'immagine della webcam è processata da un software che ora ne deforma i tratti ora li duplica ora fa in modo che a seconda della sua posizione l'immagine del performer si sdoppi o, viceversa, si riduca a una sottile striscia permettendo a Sciarroni che si cimenta in pose acrobatiche e da contorsionista di restituire sullo schermo una sorta di origami organico nel quale gli arti diventano ali fiori o altri disegni geometrici come in certi caleidoscopi d'altri tempi.
Ancora il software sdoppia la presenza solitaria del performer sottoleinandone la solitudine e la spontanea
attitudine alla ricerca di un altro-da-sè col quale interagire ed ecco che Sciarroni va incontro a se stesso fondendosi in un solo copro nel quale si sciolgono le sue mani e le due teste si fondono in una testa sola in un abbraccio che con-fonde.
Poi indossato un costume da supereroe Sciarroni interagisce con le immagini di altrettante webcam pescate on line durante la performance andando a cercare la presenza online di altre persone.
Il video girato ocn intelliegnza e perizia non si limita a riprodurre la performance ma segue gli spostamenti di Sciarroni le increspature del corpo le emozioni che trapelano dalla postura e dal volto che vediamo spesso amplificato e deformato in videoproeizone.
Una serata unica nel suo genere che se apparentemente può esulare dalle tematiche lgbt della rassegna ne ribadisce invece alcune istanze quali quelle del desiderio del corpo desiderante e della solitudine umana che, pur non essendo di esclusivo appannaggio delle persone lgbt, ne ribadisce la specificità dovuta al ludibrio che isola e nasconde riallacciando la comunanza con l'altra parte della mela, quella eterosessualità che la parte lgbt non ha mai peso in odio quanto quella eterosessuale non abbia fatto con lei in un'ottica normativa dittatoriale maschilista e patriarcale dalla quale è necessario per tutti e tutte sottrarsi per poter accedere a una esistenza davvero libera e liberata.