Un vero musical per famiglie: dove si ride, si sorride, ci si commuove e si piange. Alla fine della prima assoluta di Zëna (Il viaggio dell'emigrante) al Carlo Felice, c'è stata una standing ovation anche se era appena andata in scena soltanto una versione light, quasi in forma da concerto: solo costumi e scenografia ridotta a immagini proiettate su uno schermo, anche se con un’interazione fisica “regolare” tra gli attori-cantanti.
Non era un’accoglienza scontata, vista la tradizionale diffidenza dei genovesi nei confronti delle novità: soprattutto quelle che vanno a toccare le tradizioni consolidate.
Zëna significa Genova. L’opera ha come sottotitolo Il viaggio dell’emigrante ed è una nuova produzione del teatro Carlo Felice di Genova, commissionata espressamente a Fabrizio Lamberti per la musica e a Mauro Graiani per il libretto, con la regia dello stesso Graiani: genovesi di provata esperienza.
La canzone-simbolo della genovesità
Tutte le canzoni sono originali: la parte cantata non è troppo invadente rispetto al recitativo. Musicalmente gradevole anche se non trascendentale: un musical, appunto. Gli attori sono outsider, ma preparati: hanno frequentato scuole di teatro specializzate in musical. Il Carlo Felice li ha selezionati con annunci sui social: e visto il risultato la scelta é stata fortunata.
Cinque attori interpretano tredici ruoli. Riescono a bilanciare bene i momenti buffoneschi/clowneschi tipici di un prodotto per famiglie e quelli drammatici legati al tema della narrazione: e cioè la massiccia emigrazione dei liguri verso le Americhe, spinti dalla crisi economica alla fine dell’800.
L’opera deriva dalla canzone-simbolo Ma se ghe pensu. La canzone però resta sospesa e inespressa fino alla fine dello spettacolo, quando il pathos narrativo si compie e la canzone può finalmente dispiegarsi con la sua carica emotiva consolidata.
Zëna si rivolge soprattutto agli studenti, e lo scopo didascalico è evidente. Da una parte si vuole riallacciare i genovesi di oggi alla loro storia, ormai quasi sconosciuta ai più; dall’altra si cerca di mostrare ai ragazzi che i benestanti di oggi erano i disperati di ieri, costretti ad emigrare per sopravvivere, e bisogna ricordarsene quando si sente parlare di migranti e respingimenti.
Corrado Tedeschi, vecchio saggio sullo schermo
L’esperta regia di Graiani rende plausibile un’opera allestita senza scenografia e messa in scena non sul palcoscenico ma nel primo foyer. Gli attori/cantanti sono tutti bravi. Raffaele Ficiur è credibile nel ruolo di Bacci (diminutivo di Giovanni Battista): e non pensate che sia facile rappresentare la genovesità davanti ai genovesi. Bella voce, convincente nelle parti comiche e drammatiche. Bella, brava, e dotata di un’ottima voce (con grande estensione vocale) Elisa Dal Corso.
Danilo Ramon Giannini interpreta da solo quattro personaggi. In quest’opera assomiglia in modo marcato (ed è un complimento) a Gian del duo comico-musicale Ric & Gian degli anni 60-70 del 900: nella fisionomia, nella mimica facciale, nel modo di muoversi in scena, nella parlata e nel modo di cantare. Dovendosi ispirare a qualche modello, ha scelto quello giusto. Bravo anche Andrea D’andreagiovanni, cui sono state affidate le parti macchiettistiche.
Fabrizio Lamberti, non contento di essere stato il compositore, maestro concertatore e pianista, si è ritagliato anche il ruolo di sagrestano. Ultimo ma non meno importante l’apporto di Corrado Tedeschi (anche lui genovese) che dallo schermo incombeva nel ruolo moraleggiante di Bacci, ormai vecchio e saggio: io narrante e timoniere in questa andata e ritorno tra Genova e l’Argentina.