Mauro Astolfi trae - o per meglio dire, deduce in piena libertà, senza alcuna intenzione filologica - una coreografia tutta giocata tra 'larghi' e 'sfrenatezze' (del resto, è un artista a cui il ritmo 'medio' poco o nulla si addice) che agisce lo spazio quasi a volerlo contestare, divisa essenzialmente in tre momenti che scandiscono un crescendo liberatorio: si passa da una brutale aggressione sotto il cupo rombare della pioggia battente a una parte irriverente e grottesca che allude alle giullarate, per culminare infine nell'incendium cupiditatum, lo scatenamento delle passioni, che avviene nella taberna, luogo di appagamento degli istinti primari...
Due i simboli chiave di questo balletto, calati in un'atmosfera inquietantemente metafisica: un grande armadio e una tavola. Il primo è il luogo di memorie, segreti, scheletri ipocritamente celati; la seconda, altare sacrificale della terrena voluptas, imbandita di corpi esibiti come cibarie tentatrici.
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