Teatro

Gabriele Lavia: "Mi sento uno che ha scelto un destino amaro"

Gabriele Lavia
Gabriele Lavia

Il regista e attore, in tournée in Italia, si racconta tra palcoscenico, ricordi e l'amarezza che gli ha dato il teatro

Artista veterano, eclettico e mai stanco delle scene, Gabriele Lavia ci racconta un altro puzzle del suo viaggio. In tournée in questo periodo con l’opera-confessione del drammaturgo Eugene O’Neill Lungo viaggio verso la notte, di cui cura la regia e si è riservato un ruolo impegnativo accanto alla moglie, l’attrice Federica Di Martino (leggi qui l'intervista), Lavia sottolinea alcuni passaggi della sua carriera, sempre con fare da navigato affabulatore che ha fuso ormai da tempo l’artista e il personaggio.

Riprendiamo da dove ci siamo lasciati 4 anni fa, in piena pandemia e con una certa sfiducia nelle istituzioni: è cambiato qualcosa?

Non è cambiato nulla, l'istituzione è così per statuto ed è sbagliata. Tra l'altro, stamattina mi è arrivata una comunicazione dell'Inps e questa notizia è in linea con quello che dissi quattro anni fa.

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Gabriele Lavia

Parliamo dello spettacolo. E’ la prima volta che affronta un testo di James O'Neill?

C'è sempre un caso, la necessità del caso. Io ho un sistema per scegliere i testi, mi affido al caso! Imbroglio con me stesso e con il caso: vado nel mio studio, mi giro su me stesso, punto il dito e vado dove il dito mi conduce. Il dito non mi ha mai deluso. Forse perché, dentro di me, sapevo già che da quelle parti ci poteva essere quel testo? Gioco a nascondino con me stesso, il caso mi vuole svuotato di senso.

Il protagonista è un attore fallito e lei no: la intenerisce, o si addentra in qualche sua insicurezza?

Marlon Brando sentiva che la sua vita fosse un fallimento, nessuno può dire "ho fatto quello che volevo!". Non mi posso lamentare se guardo intorno a me, nello stesso tempo credo di avere quasi rubato di più al destino. Ci sono punti più alti e punti più bassi, sono tutti molto interessanti.

In che modo la relazione di James con gli altri membri della famiglia O'Neill ha influito sulla sua caratterizzazione?

Il regista Peter Brook sai come rispondeva tante volte agli attori quando gli chiedevano ‘come va fatto questo’? Alla come viene, viene!'. C'è una preparazione ovviamente, ma una parte di ‘come viene, viene’ va lasciata.

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Gabriele Lavia in 'Lungo viaggio verso la notte'

Dove colloca il teatro oggi nella costruzione delle relazioni sociali e culturali?

È una domanda difficile. Certo è che il teatro nasce nel momento in cui l'uomo ha la necessità di vedersi rappresentato. Noi parliamo come riferimento del teatro greco, ma penso a quando, migliaia di anni prima davanti al primo fuoco, un uomo raccontava di aver ucciso una bestia feroce. Il suo era un racconto fatto di gesti e suoni ma immagino che questo racconto gli sia stato chiesto di ripeterlo più volte, Magari quell'uomo, una volta fatto vecchio, aveva dato la possibilità a qualcun altro di raccontare quella storia. Quell'uomo che aveva lottato con una bestia feroce e senza saperlo, aveva inventato il teatro.

Lei ha superato gli 80 e ha una carriera indistruttibile. Si sente un eroe o un privilegiato?

Mi sento uno che ha scelto un destino amaro, che non ti dà gioia ma solo amarezza. Mi sento uno che non riesce a darsi un giudizio, in scena siamo io e il personaggio e chi potrebbe essere il terzo di me che dà un giudizio?

L’Arte è senza tempo, si sente così anche lei o accusa il tempo che passa?

Accuso il tempo che passa. La giovinezza è bella, la vecchiaia è abbietta anche da un punto di vista visivo. Però a teatro i vecchi servono, pensa al personaggio di Tiresia. Ecco, per me sapere che posso fare Tiresia è tremendo!

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Gabriele Lavia

Guardando indietro alla sua carriera, quali sono i momenti o i ruoli che considera più significativi?

Sicuramente il ruolo del Messaggero nell'Edipo Re con la regia di Orazio Costa quando frequentavo l'Accademia d'Arte Drammatica o il mio Edgar nel Re Lear con la regia di Giorgio Strehler. Furono proprio loro a dirmi: ‘Ahimè, tu purtroppo farai il regista’.

Come vorrebbe che la sua carriera si evolvesse nei prossimi anni?

I ruoli più importanti li ho affrontati: Edipo Re, Amleto, Macbeth, Enrico V. Ho avuto queste grandi fortune, sono state una grande faticata ma ho avuto l'occasione di farli.

Progetti futuri?

Tra i miei progetti sicuramente portare Re Lear a Roma e Milano ma sono molto preoccupato perché non può diventare un capolavoro inarrivabile come Vita di Galileo, lo spettacolo di Giorgio Strehler che forse è stato lo spettacolo più bello a cui ho assistito, l'ho visto quattordici volte. Una pura opera di poesia. Per il resto, sono scaramantico, non dico nulla ancora sperando di arrivare a poterlo fare.