
L'ispettore generale, commedia di Nikolay Vasilevic Gogol, debuttò nel 1936 a San Pietroburgo e la satira al sistema messa in scena non fu gradita alla classe dirigente zarista, tanto meno ai letterati di regime: c'era chi lo giudicava un esagerato del paradosso e chi invece lo riteneva un esponente del nascente realismo.
In questa elaborazione scenica del regista Leo Muscato protagonista è Rocco Papaleo, un podestà molto realistico nella sua preoccupazione di ricevere l'ispettore mandato nella sua piccola provincia russa. Per preparare l'ispezione il capo dell'amministrazione raduna tutti i notabili a capo dei vari settori, e in questa galleria di personaggi viene fuori tutto il grottesco, tutto il paradosso, tutta la satira presente nella tematica di Gogol.

Adattamento snello e recitazione misurata
La riduzione dei cinque atti originali in due ore di spettacolo intenso ne fanno una commedia godibile, con i personaggi emblema della inadeguatezza della burocrazia al potere: il direttore delle scuole che sfoggia ignoranza, il responsabile delle cure mediche che non riconosce alcuna malattia e la sua assistente che non parla la stessa lingua, il giudice che applica condanne e assoluzioni a convenienza, il dirigente postale sempre attaccato alla bottiglia interpretano i propri ruoli con divertente caricatura, con vitalità e brillantezza scenica, senza però generare macchiette stucchevoli.
In questo gli attori Marco Vergani, Gennaro Di Biase e Elena Aimone, Marco Gobetti e Marco Brinzi si sono dimostrati bravi e attenti.

Papaleo maestro di maneggio e Daniele Marmi ispettore ignaro
Tocca al podestà istruire i suoi collaboratori amministrativi su come tenere l'ispettore all'oscuro dei maneggi, delle corruzioni, delle vessazioni nei confronti dei cittadini. La rivelazione dell'identità dell'ispettore arriva da due sedicenti possidenti che lo riconoscono in un tale Clestakov, un giovane che sosta in locanda perché ha perso al gioco i soldi per proseguire il viaggio.
A lui si rivolgono per cercare di ammorbidire i giudizi da rapportare a San Pietroburgo, a lui si prostrano, a lui porgono la conta della mazzetta. Perfino moglie e figlia del podestà si offrono in rivalità fra loro. A questo punto Clestakov, un ottimo Daniele Marmi, entra nel ruolo di ispettore e sguazza in questi panni.

Dall'ironia alla comicità
In una scenografia girevole bella e appropriata, in una sfilata di personaggi diventati caricature pur di conservare la corrotta impunità, si vede quel teatro del paradosso di Gogol, quel teatro grottesco che riesce a divertire pur mettendo in scena argomenti drammatici.
Clestakov da giovane sprovveduto si immedisma nel conveniente ruolo di ispettore complice e corrotto, incassa soldi e favori, anche dalle donne del podestà (le brave Marta Dalla Via e Letizia Bravi) e garantisce impunità ai funzionari e carriera immediata al corrotto e ignavo capo della sperduta provincia.

Il sorriso amaro della satira di costume sempre attuale
Ma il Podestà non sembra così soddisfatto, non appare felice della riuscita messinscena ai danni dell'ispettore. La recitazione di Rocco Papaleo è meditativa e misurata. Sembra non voler rendere spensierata la rappresentazione e inevitabilmente ci porta a riflettere con lui. Cosa è cambiato fra la Russia zarista e la società attuale? Come è cambiata nei secoli la burocrazia? Ma è cambiato qualcosa? Ridiamo in teatro sì, ridiamo di ieri ma non riusciamo a rallegrarci appieno.
E poi arriva il finale, c'è un altro ispettore in arrivo, quello vero ma non sappiamo se sarà l'ultimo, se sarà mai l'ultimo. Ma non stiamo pensando alla Russia zarista ma ai burocrati di oggi, più caricature di quelle di Gogol.