
Unica commedia per musica di Alessandro Scarlatti a fronte della sessantina ed oltre di melodrammi seri, Il trionfo dell'onore dopo un oblio di oltre due secoli venne riscoperta a Siena nel 1940 nella revisione/riduzione di Virgilio Mortari - a lungo rimasta poi in uso - sacrificante una buona metà del materiale originario. Per volere della Fondazione La Fenice la vediamo invece ora in scena al Teatro Malibran nella sua splendida integrità, grazie anche ad Aaron Carpenè che ha approntato per l'occasione – cadono i 300 anni dalla morte del grande compositore palermitano - un'edizione critica elaborata sul manoscritto autografo conservato a Londra.
La definizione più esatta per i tre atti de Il trionfo dell'onore sarebbe quella di 'dramma giocoso' poiché alterna temi comici e sentimentali, ed i suoi otto personaggi sono equamente divisi su due fronti. Due coppie di 'amorosi' costituite da Riccardo, cinico corteggiatore, e dalla sedotta Leonora; e dall'esagitato Erminio e dalla capricciosa ex fidanzata Doralice. E due coppie di buffi: la servetta Rosina e lo spaccone Rodimarte, presto in tresca amorosa; e due vecchi pruriginosi quali Flaminio e Cornelia, ora in litigio, ora d'amore e d'accordo. Di qui l'alternarsi continuo di spunti di farsa, e di temi d'opera seria con dispiego d'arie d'entrata, di furore, di mezzo carattere, buone per qualche cimento virtuosistico.

Un esperimento riuscito
Composto per il napoletano Teatro de' Fiorentini, da sempre dedito a prosa ed opera in idioma locale, Il trionfo dell'onore ha tuttavia il libretto in italiano. Ciò perchè l'impresario Salvatore Torio e l'abile librettista Francesco Antonio Tullio sperimentarono nella stagione autunnale del 1718 un trittico di opere comiche in lingua 'toscana' - così si diceva allora - che comprendeva un secondo titolo di Antonio Orefice (Il gemino amore) ed un terzo di Francesco Feo (La forza della virtù). Perse questi per strada, ci rimane il rutilante gioiello di Scarlatti, i cui ruoli comici ereditano caratteri tipici della Commedia dell'Arte, mentre gli altri sembrano anticipare nel carattere talune future sagome goldoniane.
Tutto vi è dipanato con sapida e sciolta animazione, in un discorso musicale finissimo ed innovativo in cui spiccano varietà di forme (cavatine, arie bipartite, duetti, pezzi d'insieme) sostenute da un perfetto dialogo fra un'orchestra d'archi - unico fiato, l'oboe – il basso continuo e le voci. Rincresce quindi che questo sia stato l'unico, applaudito e tardivo approccio di Scarlatti al genere comico. E proprio per l'efficace teatralità e l'intelligente equilibrio tra opposte componenti, Il trionfo dell'onore sarà di modello per molti compositori delle generazioni successive, quali Pergolesi e Vinci. Perchè, citando il letterato spagnolo Stefano de Arteaga, quando «dei e demoni furono esiliati dai teatri, presero a parlare onorevolmente gli uomini».

L'onore rapito, l'onore risarcito
L'onore in questione è la verginità rapita all'infelice Leonora sedotta da Riccardo, corteggiatore seriale e cinico che l'abbandona e respinge – un anticipo di Donna Elvira - e però alla fine, al contrario del Don Giovanni mozartiano si ravvede, acconsentendo al matrimonio riparatore. Alla prima dà corpo la brava Rosa Bove, fine interprete che dipana a meraviglia le sue due arie di mezzo carattere; il secondo – ruolo en travesti come in origine – ricade su Giulia Bolcato: condotta vocale ineccepibile, energia a profusione, ma stoffa e colore non ci paiono dei più grati. Raffaele Pe dà buona prova di sé nel non facile ruolo controtenorile di Erminio, oscillante tra lamenti da amante abbandonato e convulsi propositi di vendetta; anche Francesca Lombardi Mazzulli consegna una Doralice ben caratterizzata e vocalmente cospicua, costantemente ben rifinita.
Le due coppie buffe vedono il gustoso Flaminio di Dave Monaco, che con calibrata comicità ne raffigura i pruriti di corteggiatore respinto; perseverando in una tradizione seicentesca di ruoli senili, anche la ricca Cornelia tocca ad un tenore, ed è lo spassoso, brillante Luca Cervoni.
Le sbruffonerie di Rodimarte Bombarda – pittoresco miles gloriosus - trovano in Tommaso Barea un colorito, sonoro ed agile interprete; le moine e le smancerie della servetta Rosina non potrebbero trovar migliore interprete di Giuseppina Bridelli.

Direzione e regia vanno a braccetto
L'Orchestra della Fenice in veste cameristica è guidata con scioltezza da Enrico Onofri, conduttore attento, elastico, preciso. Brillantezza e varietà della partitura trovano pieno risalto grazie alle sue attenzioni; e nella sua concertazione non si avverte mai un calo di tensione a dispetto della lunghezza dell'esecuzione, opportunamente suddivisa in due parti. Scene e costumi li dobbiamo al pittore Ugo Nespolo, che costruisce un apparato un po' moderno, un po' all'antica, fatto com'è di fondali, quinte e sipari. Apparato ravvivato dalle sue solite immagini pop coloratissime, dettate dal uno stile unico e riconoscibilissimo, con quel suo tipico senso del divertimento, ironico e trasgressivo, mai cadente nel banale.
Una gioia per gli occhi, che si fonde a perfezione con l'intelligente, raffinata regia di Stefano Vizioli, procedente con bei tocchi leggeri, delicato garbo e humour sottile, mantenendo sempre un savio equilibrio tra i due elementi narrativi. Non scade mai in grassa comicità (e sarebbe facile, alle prese di tali maschere), né esagera pietismi e veemenza dei personaggi seri. Lo stesso Riccardo ci viene descritto quale incosciente ed esuberante donnaiolo, senza rifarsi allo spregevole libertinaggio dell'analoga figura mozartiana.