
OperaVision ed il Teatro Regio di Parma porgono un bel regalo ai melomani, mettendo online la Giovanna d'Arco che aprì nel gennaio scorso la stagione 2025 della sala emiliana. Una nuova produzione che vedeva la regia di Emma Dante, sul podio il giovane maestro Michele Gamba, in palcoscenico tre voci di sicura tempra verdiana, sulle quali l'opera di Verdi si impernia.
Tre sagome che nell'ordinario ed incongruo libretto di Solera, solo vagamente collegato al dramma di Schiller, appaiono a mala pena in due dimensioni, mentre nelle mani del musicista acquisiscono un rilievo a tutto tondo. Nondimeno scovare un terzetto vocale di prim'ordine, senza il quale l'opera a stento si reggerebbe, non è facile. A Parma ci sono riusciti.

Tre voci belle, e spiccatamente verdiane
La parte del leone la fa Nino Machaidze, voce sopranile di stoffa sfarzosa, morbida, flessibile. Offre una Giovanna risolta con sovrana grazia, agilità ed una condotta rigorosa – vedi il pieno controllo dei fiati – sciogliendo bravamente i nodi belcantostici, forte di un'emissione liquida, tendente all'ambra, vero velluto serico. Magari la dizione a volte soffre, ma il personaggio in sé esce dalle sue corde passionale e vibrante, fra tormenti interiori, visioni mistiche e impeti belluini.
Più il tempo passa, e più ci piace incontrare in scena Luciano Ganci, qui alle prese con Carlo, il futuro re di Francia. Ha voce sonora e di schietta pasta verdiana: denso, solido, elastico il registro centrale, facile la salita ad acuti pieni e ben timbrati, buon ventaglio di colori. Gli interessa meno il côté lirico e sognante del Delfino di Francia, punta più su slanci eroici e vibranti impennate; una performance, la sua, ad ogni modo coinvolgente.
Spunta da nulla il baritono mongolo 36enne Ariunbaatar Ganbaatar, ed è una felice scoperta. Parla a stento l'italiano, dicono; però in questo debutto nostrano incredibilmente apporta al suo Giacomo una dizione perfetta, scolpendone a dovere ogni parola. Centra bene questo contradditorio personaggio, e mette a frutto una voce naturalmente bella e morbida, di bel colore e di ragguardevole volume, oltre che ricca di armonici. Nobile il fraseggio, ammirevoli i bei legati e certe mezzevoci, la tecnica pressoché immacolata; teniamocelo ben stretto. Accanto a loro, il giovane e bravo Francesco Congiu canta come Delil, Krzysztof Bączyk quale Talbot.

Un'opera dai momenti alterni
Giovanna d'Arco – al di là del parere di Verdi che dopo la prima milanese la definiva orgogliosamente “la migliore delle mie opere, senza eccezione e senza dubbio” – resta un lavoro discontinuo, in cui momenti ispirati e ben torniti cedono il passo a pagine di mero, seppur buon mestiere. Ad ogni modo, è partitura ricca di felici spunti melodici, di slancio, di vitalità, che piace rincontrare di tanto in tanto. Magari con i versi originali e non quelli suggeriti da antiche censure, qui purtroppo ancora cantati.
Dunque ecco ancora, santa pazienza, la sbiega domanda «Non sacrilega sei tu?», al posto della secca «Pura e vergine sei tu?». Sia come sia, Michele Gamba la dirige rettamente e ne trae il meglio, instaurando un apprezzabile dialogo con i cantanti; da abile concertatore evoca le opportune atmosfere, imposta la giusta serie dinamiche, trova un senso nell'alternanza di esaltazioni ritmiche 'alla garibaldina' e di abbandoni melodici. Nè tralascia di dare buon rilievo a certi preziosi particolari strumentali. La Filarmonica Toscanini lo coadiuva bene nel cimento, al pari dell'esemplare Coro del Regio guidato da Martino Faggiani.

Una drammaturgia ben pensata, ben dosata
La drammaturgia di Emma Dante può piacere, può non piacere; ma raggiunge l'effetto. Non accentua l'opposizione Bene/Male, poiché visioni mistiche e rapimenti estatici, spirito bellico ed amor di patria, slanci erotici e senso del peccato si confondono qui uno nell'altro. Certi momenti memorabili, quali l'affollata piazza di Domrémy, la raffigurazione dell'onirica foresta, l'apparizione delle fiammanti figure demoniache, l'estasi finale di Giovanna vessillo in mano, non ce li fa mancare.
Sparge fiori a profusione ovunque: in braccio alla statua della Madonna, sui corpi degli spiriti della foresta, sulle evocate volte di San Dionigi. Una grande corona fiorita - immagine invero squisitamente 'mariana' - accoglie la Pulzella d'Orléans morente, avvolta sempre in lungo abito rosso fiamma a sanzionare la sua piena femminilità.
Tutto funziona a dovere grazie ancora alle suggestive scenografie di Carmine Maringola, agli abiti di Vanessa Sannino, alle forti coreografie di Manuela Lo Sicco, alle luci di Luigi Biondi.