Come secondo titolo del 95° Festival viene riproposta sul grande palcoscenico arenano Aida in quella versione, tanto affascinante quanto visionaria, pensata da La Fura dels Baus, che già nel 2013, quando fu messa in scena per la prima volta, aveva tanto fatto parlare di sé.
L’allestimento
Dromedari ed elefanti meccanici, uomini coccodrillo che nuotano nelle basse acque di una palude fra rami di palma oscillanti, dune gonfiabili, un’enorme gru sulla quale lavorano alcuni operai per montare, passo dopo passo, una struttura geometrica realizzata componendo una serie di piramidi metalliche la quale, una volta abbassata fino a terra, simboleggerà la tomba dei due amanti: ecco alcuni delle componenti più di impatto di questa Aida che è un misto fra realtà e fantasia, ma anche di passato e di futuro.
In un breve prologo ci vengono presentati degli archeologi che pongono frammenti di una scultura antica in casse da spedire al British Museum; durante la marcia trionfale, in mezzo agli animali meccanici e a veicoli elettrici caratterizzati da grossi ragni dipinti sulla parte anteriore, vengono portati in processione anche bidoni contenenti scorie, tutti simboli dell’incuria umana per la storia e il paesaggio, visti solo come potenziali elementi di sfruttamento.
Splendide le luci pensate da Paolo Mazzon che contribuiscono moltissimo a dare fascino ad un allestimento dai mille stimoli e dalle continue inventive che è impossibile descrivere in poche righe, ma che merita certo una visione diretta.
Non sempre raffinatissimi, invece, i costumi di Chu Uroz che vogliono essere uno strano coacervo di tradizione e ingegneria aerospaziale.
L’aspetto musicale e il cast
Julian Kovatchev dirige l’Orchestra dell’Arena staccando tempi un po’ lenti e, innegabilmente, con un certo rigore, deprivando però anche, d’altro canto, la partitura di colori, emozioni, sfumature, in una concertazione che tutto sommato appare fredda.
Amarilli Nizza è un’Aida convincente che brilla per cura del fraseggio e per un acuto piuttosto facile e pulito, entrambi uniti a una considerevole capacità attoriale.
A dir poco splendida la Amneris di Violeta Urmana, la quale mostra davvero di essere un’artista a tutto tondo: il timbro è splendido, la tecnica ineccepibile, la voce sonora anche per uno spazio vasto come quello arenano, l’estensione amplissima.
Grande facilità di emissione anche per Carlo Ventre che veste i panni di un ottimo Radames dall’acuto squillante e dall’accento sicuro.
Meno convincente l’Amonasro di Boris Statsenko, intonato ma troppo muscolare; molto buono il Re di Deyan Vatchkov; preciso il Coro arenano ben preparato da Vito Lombardi.