Un paio di stagioni dopo “Dio della carneficina”, il Lauro Rossi ospita un altro testo di Yasmina Reza, “Art”, commedia in cui tre amici dibattono sull'arte moderna e l'amicizia. Il pretesto per la discussione è l'acquisto, da parte di uno dei tre, di un costoso quadro di un autore contemporaneo ma presto il confronto scivola sui temi dei rapporti interpersonali.
Gigio Alberti è il nevrotico Marc, eternamente fidanzato, che gli amici giudicano altezzoso e arrogante, quando forse è solo un intellettuale alla prese con il disagio della modernità, anzi meglio della contemporaneità, insomma un tradizionalista.
Alessio Boni è Serge, medico divorziato con prole, il compratore del quadro (un acquisto dettato più che da passione o voglia di investimento, dalla ricerca di far parte del mondo del collezionismo, volendo iniziare un percorso di gallerista), uomo con aria di supponenza, magari anche per insicurezza.
Alessandro Haber è Yvan, in procinto di sposarsi, tollerante oltre ogni dire, insoddisfatto del lavoro precario che si trova a svolgere per interessamento di un parente della fidanzata.
Eleganti gli abiti di scena, Marc e Serge in completo giacca-pantaloni (le mani spesso in tasca) di piega perfetta, più stazzonato quello indossato da Yvan.
Funzionale la scena moderna, un interno grigio che le luci colorano in modo deciso sul fondo, virando dal fucsia al verde all'azzurro. La maggior parte delle scene si svolge a casa di Serge, parete di fondo vuota e quadro bianco di Antrios appoggiato a terra; le altre case sono riconoscibili per una veduta di Carcassonne (Marc) e un volto di pagliaccio (Yvan) sembrerebbe dipinto dal padre dello stesso. Le quinte semitrasparenti che scorrono in proscenio consentono ingressi ed uscite e soprattutto di isolare i momenti riflessivi da quelli dialogati.
Il testo è sapientemente costruito in modo da alternare dialoghi, riflessioni personali ad alta voce, dialoghi ipotetici con il pubblico. La discussione tra i tre si incendia con un libello di Seneca, futile motivo da cui scaturisce un confronto serrato ed urlato che coinvolge i lati caratteriali e le manifestazioni della personalità. Però si è ravvisato lo stesso limite del Dio della carneficina, un testo divertente ed ironico che poco scava, preferendo restare in superficie, nel generico. Al centro del dibattito la frase “non bisogna mai lasciare gli amici senza sorveglianza, altrimenti scappano”.
Bravi i tre protagonisti (sorprendente in particolare Alessio Boni). Infatti la regia di Giampiero Solari muove i tre come pedine sulla scacchiera in modo da consentire lo svolgersi dei dialoghi in modo serrato (lo spettacolo è senza intervallo).
Qualche posto vuoto in sala, forse dovuto ai giorni di festa. Pubblico abbastanza divertito, molti applausi alla fine.