Adriana Asti porta in scena il personaggio di Zerlina: una cameriera che sfida le regole e segue la propria passione erotica. La Ballata della Zerlina, una delle più grandi storie d’amore.
La Ballata della Zerlina è “una delle più grandi storie d’amore che io conosca”: così Hanna Arendt si esprimeva a proposito di questo testo di Hermann Broch, scritto poco dopo la fine della seconda guerra mondiale e che racconta la storia di una profonda passione erotica e di una feroce sete di vendetta che ha come protagonista Zerlina, cameriera in una famiglia aristocratica di metà Novecento.
Fantasmi della memoria e ferite profonde
Adriana Asti, attrice che non ha bisogno certo di presentazioni, dà voce a una Zerlina che si muove nella sua vicenda tra dramma e ironia, momenti grotteschi e antiche ferite che stentano a rimarginarsi. Cosa può fare una donna che la vita ha condannato a un ruolo subalterno, quello di una cameriera appunto, se si innamora dell’uomo che ha appena messo incinta la sua padrona e che intrattiene relazioni con chissà quante altre donne? Quale decisione deve prendere? Farsi da parte e lasciare campo libero alla padrona perché prosegua la sua tresca o vivere fino in fondo il suo desiderio sfidando leggi sociali e morali?
Zerlina racconta la sua storia ad un muto interlocutore, Lucinda Childs, che firma anche la regia dello spettacolo, e che in scena dà corpo ai mille fantasmi che popolano le memorie dell’ormai anziana cameriera, mescolando tra loro sentimenti contrastanti destinati a una continua sovrapposizione. La Asti ci conduce con delicatezza nell’intricato mondo di Zerlina, ai suoi sentimenti offre una ricchissima gamma di sonorità, colori e intenzioni, e frantuma i confini dei registri recitativi, passando dall’uno all’altro con quella naturalezza estrema che l’hanno resa una delle signore del teatro italiano ed europeo.
Tra amore e vendetta
Zerlina si getta, dunque, tra le braccia dell’uomo che ama, con lui fa scoperte audaci, da cameriera diventa padrona del suo corpo e conduce il gioco dei desideri, l’amore infatti ha mille sfumature e ognuna richiede le sue attenzioni, nuda davanti a lui si sente ancora più nuda perché si è spogliata anche dell’ultimo dei vestiti, e cioè il pudore. La vicenda trova però un epilogo tragico: Zerlina viene abbandonata e poco dopo il giovane amante è accusato di aver ucciso una donna con la quale conviveva nel casino di caccia. Zerlina non sa cosa fare: la muove una sete di vendetta, per questo motivo ha trafugato alcune lettere che potrebbero indurre a un giudizio di colpevolezza, ma nello stesso tempo il sentimento d’amore la trattiene, per cui decide di inviare anonimamente solo alcune di quelle stesse lettere.
Dal processo l’uomo uscirà assolto e si allontanerà per sempre, al punto che Zerlina non sa più neanche se sia vivo o morto. Ma alla memoria non si comanda e Adriana Asti, che è essa stessa custode della memoria teatrale italiana, sembra esserne perfettamente consapevole. Su una scena scarna, appena un tavolino e un lungo divano, fruga negli scampoli dei ricordi, all’inizio con petulanza pettegola, poi assecondando sempre più il temporale della memoria e la sua violenza.
Lo spettacolo si dipana così sul doppio piano dell’astrazione e della concretezza, come sembrano suggerire anche le waterfalls di Pat Steir che appaiono sul fondo: macchie di colore dalle quali emergono pian piano i visi dei protagonisti della storia.