Ciarlatani, scritta dal drammaturgo spagnolo Pablo Remòn e portata in scena da Silvio Orlando, ha due chiavi di lettura: una più superficiale e una più filosofica. Tanto più la prima è divertente, nella sua critica di costume piena di gag, battute e giochi di parole, tanto la seconda è angosciante.
Lo spettacolo è costruito apposta su due livelli, per centrare in entrambi i casi il risultato. Chi vuole ridere e divertirsi (in questo la maschera di Silvio Orlando aiuta) esce dal teatro soddisfatto: convinto di avere assistito ad uno spettacolo comico o comunque leggero. Gli altri si divertono lo stesso, ma escono con un retrogusto amaro in bocca: forse la finzione portata in scena dagli attori è più simile alla realtà di quanto ci piace ammettere.
Dieci capitoli di finta realtà in movimento
I Ciarlatani sono gli attori, detto da loro stessi, con una disamina del loro lavoro fatta dal punto di vista di chi recita e non degli spettatori. Ci sono quattro attori che fanno tutto: si sdoppiano, si quadruplicano le parti, dando vita a 27 personaggi che - in dieci capitoli - popolano una nebulosa di spazi e tempi che si muovono in continuazione e si confondono.
Non si riesce a capire cosa è realtà e cosa è finzione, recitazione. Non si capisce cosa è accaduto prima e cosa dopo. Le note di regia dicono che si tratta di "una satira sui meccanismi del teatro, del cinema e della fiction, spesso in cortocircuito con la vita personale e quotidiana”: frase che spiega abbastanza, ma non tutto.
Un campionario della vita di chi recita
Lo spettacolo è un affresco in forma di racconto, che propone un campionario di tic, manie, atti scaramantici, frustrazioni, sconfitte, vanità e ambizioni di chi recita. Ma gli attori, alla fine, siamo noi spettatori: non c’è differenza tra chi recita e chi osserva quelli che recitano, tra la realtà rappresentata e la realtà che crediamo di vivere.
La loro vita è la nostra: non solo perché gli attori sono esseri umani come noi, ma perché le storie che raccontano sono quelle che viviamo anche noi. Ciarlatani è una potente e poetica riflessione sulla recita della vita quotidiana e sulla sopravvalutazione dei fallimenti dell’essere umano: nel senso che siamo noi stessi, nella recita della vita quotidiana, a definire fallimento quello che invece non lo è. Il fallimento è solo una finzione come tutto il resto.
Successo e fallimento, delizia e croce degli attori
I quattro attori mettono in scena il rapporto tra realtà e finzione: esplorano il confine tra l'essere e l'apparire, tra ciò che siamo e ciò che mostriamo al mondo. Gli attori sono il simbolo di questo, perché sono costantemente impegnati a recitare una parte, a indossare maschere e a creare personaggi che non hanno niente a che fare con la loro vera identità.
Il successo e il fallimento sono la croce e la delizia degli attori. Ciarlatani riflette sulle contraddizioni del successo, mostrando quanto facilmente si può passare dall’appagamento alla delusione: che sono le due facce della stessa medaglia. L'opera analizza le pressioni che gravano sugli artisti per raggiungere la fama e il riconoscimento, e le conseguenze che ne derivano quando questi obiettivi non vengono raggiunti.
L'arte e il commercio sono uguali
Poi ci sono l’arte e il commercio, tanto opposti che finiscono per toccarsi. Ciarlatani mostra il modo in cui l'arte può essere manipolata e commercializzata, e le conseguenze che questo ha sulla creatività degli artisti.I personaggi sono alla costante ricerca di una propria identità, spesso confusa e frammentata. Lo spettacolo mostra le difficoltà di definire se stessi in un mondo che ci chiede continuamente di indossare diverse maschere.
Alla fine, esci dal teatro e ti ritrovi a riflettere sulla tua vita e sulle tue ambizioni. Ma poi pensi che è inutile farlo: intanto la vita è tutta una finzione, una convenzione.