E' una significativa operazione sovranazionale CrossOpera (sotto titolo Diversità, paura e scoperta), finanziata nell'abito del programma Europa Creativa dell'Unione Europea. Operazione avviata nel 2018 - poi rallentata dalla pandemia - con l'apporto di tre istituzioni europee: il nostro Teatro Comunale di Modena, il Serbian National Theater di Novi Sad e l'austriaco Landestheater di Linz.
CrossOpera raduna tre brevi lavori lirici, commissionati ad autori dei paesi coinvolti: la belgradese Jasmina Mitrušić ha scritto libretto e musica di Dream (Sogno); gli austriaci Valentin Ruckebier e Hermann Schneider hanno ideato Die Flucht nach Ägypten (Fuga in Egitto); ed infine Sandro Cappelletto e Luigi Cinque, sono autori di E tu, che sai tu del futuro?. Tema di fondo comune il dramma dell'emigrazione forzata, la diffidenza verso il diverso, la problematica accoglienza in terra straniera.
Tre opere sul tema dell'emigrazione e dell'accoglienza
Al Teatro Comunale di Modena le vediamo presentate in prima assoluta da un efficiente ensemble internazionale di dodici strumentisti; e da sei giovani, e valenti cantanti dei tre paesi interessati: Eugenio Maria Degiacomi, Dalila Djenic, Strahinia Đokić, Evgenija Jeremić, Idil Karabulut, Florian Wugk. A sovraintendere musicalmente all'esecuzione, con occhio vigile ed attento, Djordje Pavlović, direttore stabile del Teatro Nazionale di Belgrado. Voce narrante, Sandro Cappelletto; a Linz e Novi Sad questo compito toccherà ad altri.
Tormentosi viaggi dall'Oriente all'Occidente
Apre il breve, ma molto denso Dream di Jasmina Mitrušić, che ci conduce in un desolata landa della Serbia meridionale, dove in attesa del bus per Belgrado sostano un'assistente umanitaria, che accompagna due donne stremate – madre e figlia - giunte dalla Siria per ricongiungersi con un familiare; poco dopo giungono anche tre esausti profughi afghani.
Sei anime tormentate che costituiscono una provvisoria, solidale comunità; nell'attesa si assopiscono, sfiniti, e nei loro sogni affiorano reconditi sentimenti, e segrete speranze. L'arrivo del bus li vedrà ripartire verso un futuro che si spera per tutti migliore. Il testo dell'artista belgradese è molto denso, e molto poetico; intrigante e solida la partitura sottesa, nel suo sottile minimalismo carico di colori, che sfrutta in pieno tutti gli strumenti disponibili.
Die Flucht nach Ägypten vede un padre, una madre ed il loro figlioletto cercare rifugio in un ospedale egiziano, accolti con freddezza e sospetto. Avvertiti nel sonno da una strana presenza, sono in fuga dai Territori Palestinesi dove, dicono, un tiranno intende uccidere tutti i bambini; e riferiscono che nell'attraversata del deserto il loro piccolo – che non vediamo, dorme tranquillo - ha compiuto strani miracoli. Storia poco verosimile per gli scettici sanitari: eppure rievoca, né più né meno, che la fuga verso l'Egitto della Sacra Famiglia.
Un'evangelica storia di forzata emigrazione trasportata di peso ai giorni odierni. Lo spunto sarebbe avvincente, ma il libretto di Valentin Ruckebier soffre di un certo vuoto intellettualismo, nel laborioso incedere come nelle sue centrifughe divagazioni narrative. In compenso le musiche che li accompagnano appaiono varie e ben costruite, mostrando un'indubbia vitalità interiore.
Un eccesso di argomenti in campo
Chiude la terna E tu, che ne sai tu del futuro?, 14 scene su testo di Sandro Cappelletto, con musiche di Luigi Cinque. Compositore, quest'ultimo, alfiere di un certo modo pur esso 'crossover' di fare musica. Il libretto, di composita e futile costruzione, mette in scena sei naufraghi - figure metaforiche come l'ammasso di rifiuti alle loro spalle – proponendo uno sterile zibaldone di cose già dette e di reminiscenze riaffioranti come a caso, partendo dal tema del colonialismo per arrivare alle odierne fughe da guerre, persecuzioni e fame.
Agendo su questo vuoto sbandieramento di slogan e di espressioni scontate, tipiche di una certa sinistra benpensante (e malfacente) – il supporto musicale di Cinque non va al di là di un pot-pourri sonoro superficialmente elaborato, con ricorso a citazioni (Faccetta nera, l'Inno alla gioia di Beethoven, un pizzico di Ligeti, il Quartetto di Verdi) che non sempre trovano ragione d'esserci.
Per le prime due piéces la regia di Gregor Horres, poggiata sulla drammaturgia di Katharina John, si mostra assai efficace ed eloquente, e costruisce due situazioni avvincenti; nettamente meno incisiva è nella terza, vista la difficoltà di conferire plausibilità scenica ad un elaborato così miscellaneo. L'effetto finale, detto fra noi, s'accosta a quello di un volenteroso saggio di fine anno scolastico.
Scene e costumi li dobbiamo a Mariangela Mazzeo, le luci a Marcello Marchi, le evocative video proiezioni all'abilità tecnica di Hanna Hildebrand e Marcello Rotondella.