Grande bellezza in Laguna

Grande bellezza in Laguna

Un conto è togliere un po’ di cipria a Goldoni, altra faccenda è sostituirgli il trucco, che pur lascia trasferire riflessioni pungenti, con mano di cerone che vuol essere grottesco ma che rischia di essere prima di tutto pesante.
Se non si è cultori incondizionati di Fassbinder, è difficile applaudire con entusiasmo il suo rifacimento della “Bottega del Caffè” messo a punto negli anni Sessanta e riproposto oggi in una versione che potrebbe anche sembrare una “Grande Bellezza in Laguna”.

Una mescolanza di epoche né tragica né comica

Nella bottega di Ridolfo, adiacente alla bisca dove Eugenio sperpera la sua vita e quella della moglie Vittoria, si osservano corruzione, ipocrisie, prostituzione non limitata a chi la esercita ufficialmente, pregiudizi di sesso e di classe. L’ossessione del denaro torna nel tormentone ripetuto da tutti, con tanto di cambio degli zecchini in dollari, sterline ed euro, con un’insistenza che alla fine non è né tragica né ironica.

Qualche citazione, più sullo sfondo che in primo piano, di un carnevale tragico che potrebbe efficacemente rievocare le radici infernali delle maschere stesse e della loro origine, alla fine si perde in una mescolanza di epoche, di stili, di accenti recitativi, di musiche che suggeriscono l’accostamento del passato e del presente con effetto più didascalico che emotivo.

Si sono viste, in questi ultimi anni, alcune edizioni della “Bottega del caffè” che rivisitavano Goldoni, lasciandolo nella sua originalità ma filtrandolo qua e là di toni fassbinderiani. Meglio rispetto alla scelta di prenderlo in blocco con questa angolazione.