Opera appassionante, la Fedora di Umberto Giordano, ed un tempo parecchio popolare: quanti Loris, quante Fedore di mezz'età conosciamo, sostituiti oggi ahinoi dai J.R. e dalle Sue Ellen! E poi, partitura teatralmente e musicalmente validissima: tanto per dire, fu l'unico suo lavoro portato in scena a Vienna da un esigentissimo Mahler.
Oggi, purtroppo la si incontra di rado – pur se pare intravedere un rinnovato interesse - e quindi siamo grati al Teatro Municipale di Piacenza ed al Teatro Comunale di Modena – sala dove l'abbiamo raggiunta – per averla collocata nelle loro stagioni, a pochi giorni di distanza, con un allestimento tutto nuovo.
GLI SPETTACOLI
IN SCENA IN ITALIA
Stesso commediografo, stessa attrice
Due cose accomunano Fedora e la Tosca di Puccini. Il derivare entrambe da fortunate piéces di Victorien Sardou, e l'essere state entrambe appannaggio della grande Sarah Berhardt. Puccini assisté a Tosca a Parigi, capendo poco o nulla delle parole, ma rimanendo folgorato dall'interpretazione dell'attrice. Giordano, dopo aver visto Fedora a Napoli nel 1889, chiese subito a Sardou il permesso di musicarla; richiesta respinta al mittente, essendo ancora il compositore foggiano un 'signor nessuno'.
L'editore Sonzogno tornò alla carica per lui dopo il successo di Andrea Chénier; le trattative andarono in porto così che, con il libretto di Arturo Colautti, la Fedora di Giordano vide la luce a Milano nel novembre 1898. E piacque subito, e subito prese a girare. Di lì a un lustro Luigi Illica gli fornirà un altro soggetto russo, quello di Siberia, attingendo a piene mani da Dostoevskij. E più avanti il foggiano tornerà a Sardou con Madame Sans-Gêne.
“L'amore e il dolore non hanno nazionalità”, Giordano dixit
Ruolo complicato e arduo quello della principessa Romazov, sospeso a mezzo tra due registri. Ideale dunque per un mezzosoprano che è un po' soprano falcon (o viceversa), flessibile e ben collocato nei centri e nei gravi, qual è Teresa Romano.
Una Fedora sorprendente, la sua, che vincendo la sfida ci rammenta da vicino la Magda Olivero dell'antica incisione Decca (un faro nell'avarissima discografia disponibile), vuoi per la sottile penetrazione del tormentato personaggio ed il calore profuso a piene mani, vuoi per l'emissione fermissima, il timbro seducente ed un fraseggio dovunque pertinente. Al pari del mitico soprano di Saluzzo, in grado di cantare sia con i nervi che con la voce - come s'usava dire un tempo - meritandosi ampiamente il caloroso abbraccio del pubblico.
Applaudito, e ben a ragione, anche il Loris vitale ed appassionato di Luciano Ganci, grazie alla luminosa seduzione ed all'irruenza d'una voce vincente. A parte una qual tendenza ad aprire le vocali (mai, però, come nel sciagurato Loris di Del Monaco) il tenore romano consegna una brillante interpretazione da tenore lirico spinto – mostrandosi in ottima forma, per inciso - in cui si fondono bene slancio, accento passionale, varietà espressiva. Oltre che ricchezza d'armonici ed una prodiga colonna di fiato.
Intorno, belle voci e buoni attori
Accanto ad essi, due comprimari di indubbie qualità: il massiccio, ben timbrato e sempre espressivo De Siriex di Simone Piazzola, e la deliziosa, scanzonata e svaporata Olga di Yuliya Tkachenko. Peccato però le sia negata l'aria della bicicletta, con le agilità frivole de «Se amor t'allena». A posto pure le parti di fianco, che cantano e recitano a dovere: fra esse spiccano Vittoria Vimercati (Dimitri), Isabella Gilli (il piccolo savoiardo), Paolo Lardizzone (Desiré), Saverio Pugliese (Rouvel), Viktor Shevchenko (Gretch), William Corrò (Cirillo), Ivan Maliboska (Lazinski in scena ed al piano).
Un concertatore a suo agio nel repertorio di fine '800
Da parte sua Aldo Sisillo dirige l'Orchestra Filarmonica Italiana – il Coro è quello del Municipale di Piacenza, preparato da Corrado Casati – con energica partecipazione e grande teatralità, curando nel dettaglio i preziosismi strumentali (e son tanti!), imprimendo ritmo spigliato e fluido ai continui episodi di conversazione, ed aprendo con sottile eleganza i nobili squarci di espansione lirica.
Come al solito, Pier Luigi Pizzi si è fatto come al solito carico dell'intera messinscena avvalendosi della collaborazione di Massimo Gasparon. D'una regia snella, che punta al sodo, dritta e lineare, che evoca sempre la giusta atmosfera, e scava sino in fondo i singoli caratteri ponendo al centro il travaglio emotivo della protagonista.
Dei costumi d'epoca, assai accurati nel disegno; e della scenografia, basata su pochi ma giusti oggetti di scena, e arricchita in profondità da videoproiezioni che definiscono con esattezza il succedersi degli ambienti. Avvalendosi, in questo caso, di Matteo Letizi.
Una messa in scena di rarefatta bellezza, raffinata e pulita, che è stata anche trasmessa in diretta da Piacenza, ora visibile nella scheda dello spettacolo.