Prosa
I MANEZZI PE MAJâ NA FIGGIA

'Manezzi' sempreverdi

'Manezzi' sempreverdi

La moglie maneggiona, in realtà molto più potente e autoritaria di quanto le convenzioni sociali  vorrebbero; il capofamiglia debole, dietro la facciata, a dispetto dell’autoritarismo esibito; l’amore che manda catafascio tutti i progetti di scalata sociale, realizzabile attraverso il matrimonio.

Gli archetipi della commedia, già rimaneggiati a cavallo tra Otto e Novecento da Niccolò Bacigalupo,  vennero riproposti  da Gilbero Govi e da sua moglie Rina con una scrittura scenica, un sottotesto mimico e gestuale,   che ha fatto de “I manezzi per maja na figgia” un titolo proverbiale. I caratteri sono un classico della genovesità  formato esportazione. Riproporlo  oggi alle platee italiane, rispettandone la sostanza senza imitare la consuetudine del suo primo grande interprete e icona, è un grande atto di coraggio, una sfida che a Genova, sul palco del teatro della Corte, Jurij Ferrini ha vinto alla grande.

Lo spettacolo mescola con tempi perfetti anche citazioni diverse, appena sfumate, e con un’autoironia che lascia alle situazioni e alle gag più famose tutta la loro riconoscibilità ma senza stereotipi.  Govi  è rimasto un mito anche grazie al salvataggio delle sue commedie trasmesse in Rai e, dopo decenni di affettuosa e a volte coraggiosa conservazione da parte di compagnie amatoriali e dialettali, ma questa nuova vita, messa a punto in occasione del cinquantesimo anniversario della sua morte dallo Stabile di Genova e dalla compagnia Urt in collaborazione con il Festival di Borgio Verezzi, dimostra cose che il teatro italiano per troppo tempo ha colpevolmente dimenticato: la forza del teatro regionale e dei suoi affreschi di costume spesso troppo frettolosamente etichettati come bozzettismo, la possibilità riproporre certi testi anche senza la prima grande maschera che li ha portati al successo.

Prima delle partite che si giocheranno fuori casa, in tournée, il campo genovese, per questi Manezzi, è stato il vero grande banco di prova. Qui Ferrini  ha avuto l’ardire di presentarsi, a palcoscenico appena aperto, con una bombetta che può ricordare Buster Keaton e alludere a una  clownerie senza confini, ma con gioiosa e sostenibilissima leggerezza; qui Orietta Notari si è calata nelpe rsonaggio che applaudiva da bambina con i  nonni, con l’esperienza maturata attraverso le mogli di Cechov, di Molière, degli “arrabbiati” inglesi e passata al  vaglio di una impareggiabile concretezza; qui gli altri sette interpreti  hanno fatto toccare con mano un’idea di teatro rispettosa della tradizione, ma al tempo stesso molto diversa da quella in voga nei primi decenni del Novecento. Oggi infatti l’intera squadra conta quanto la mattatorialità. In sintonia perfetta con il metronomo della comicità: Claudia Benzi (Comba), Arianna Comes (Metilde), Stefano Moretti (Cesare), Rebecca Rossetti (Carlotta), Matteo Alì (il signor Riccardo), Angelo Tronca (il signor Pippo), Fabrizio Careddu (il signor Venanzio).

Le scene e i costumi di Laura Benzi li collocano in un  quadro che non astrae e neppure appesantisce con dettagli superflui. Divertimento garantito, sottolineato da continue risate e applausi e una “morale della favola” che va oltre quella trama: dal vecchio teatro regionale, i giovani capaci di esplorarlo possono sempre trarre molta linfa.

Visto il 27-12-2016
al Ivo Chiesa di Genova (GE)